Riprendiamo da BET Magazine di settembre 2024 a pag. 28, il commento di Michael Soncin dal titolo: "L’artista del silenzio: Marcel Marceau si racconta".
Avete presente il famosissimo passo di danza di Michael Jackson? Era il 1983 quando ipnotizzò tutto il mondo con il moonwalk, movimento che consiste nello spostarsi all’indietro dando l’illusione di camminare in avanti. Forse non tutti sanno però che per quel passo Jackson si ispirò, reinterpretandolo, all’attore ebreo francese Marcel Marceau (1923-2007), che lo aveva proposto nelle sue esibizioni, per la prima volta nel 1953, in televisione. Jackson era un ammiratore di Marceau, a tal punto da volerlo conoscere dal vivo, andando a un suo spettacolo a Londra nel 1988. In Italia, chi è cresciuto con Carosello ricorda Marceau quando, negli anni Settanta, sponsorizzava i cioccolatini Perugina. È risaputo che è stato una grande personaggio nel mondo del teatro, “il mimo per antonomasia”. Con le sue rappresentazioni ha fatto il giro del mondo: India, Giappone, Nuova Zelanda, Stati Uniti e anche Israele, sono solo alcuni dei paesi dove il suo lavoro l’ha portato. Ma cosa sappiamo invece del lato famigliare?
VI CONFIDO IL MIO LATO PIÙ INTIMO
A rispondere è lui stesso attraverso l’autobiografia portata alla luce dalle figlie e pubblicata in Francia nel 2023, in occasione del centenario della nascita. Marcel Marceau, La mia vita, uscito in Italia nel 2024, è un libro corredato anche da una cronologia biografica, con centinaia di immagini di archivio, dove l’attore si racconta dal primo anno di vita, fermandosi poi ai primi anni Cinquanta. Dentro troveremo gli esordi, la passione per Charlie Chaplin, in particolare per il personaggio di Charlot, uno stimolo, per poi arrivare a crearne uno tutto suo: Bip, il clown. Ma soprattutto viene dato spazio alle vicende famigliari, alla Francia occupata dai nazisti, al clima antisemita che ha respirato, il suo ruolo nella Resistenza, i bambini ebrei che ha salvato, arrivando poi al giorno della Liberazione.
IL PADRE CATTURATO DALLA GESTAPO
Marcel, il cui vero cognome era Mangel, era nato a Strasburgo da genitori ebrei polacchi il 22 marzo 1923. La madre, Anna Chancia Werzberg, era un’appassionata di letteratura; il padre Charles Mangel lavorava in una macelleria kasher. Marcel ricorda quando, da ragazzino, all’inizio di ogni anno scolastico gli insegnanti chiedevano il mestiere del padre. C’era chi era banchiere, chi professore, chi industriale, ma il clima borghese era così imperante che al suo turno pronunciava la parola “macellaio” quasi sussurrando: “Trovavo umiliante per noi che alcuni studenti potessero stabilire barriere soppesando la posizione sociale dei genitori […]”. Eppure, Marcel era fiero di suo padre, la cui scomparsa lasciò in lui un vuoto incolmabile, un fantasma che lo accompagnerà per tutta la vita. L’11 febbraio 1944 Charles venne arrestato dalla Gestapo proprio nella macelleria, dove aveva lavorato fino all’ultimo per non abbandonare i suoi cari clienti. Deportato al campo di Drancy, finì poi ad Auschwitz, un viaggio senza ritorno, come milioni di altri ebrei. “La morte atroce di tuo padre ti perseguitava senza sosta: negli ultimi anni, leggevi decine di libri sulla Shoah e t’interrogavi con noi sull’origine dell’odio che corrode il cuore degli uomini”, ha scritto la figlia Aurélia.
I MOZZICONI DELLE CANDELE DI SHABBAT
La madre di Marcel aveva smesso di credere il giorno in cui il marito era finito nel campo di concentramento. La figlia Camille ricorda quando Marcel descriveva l’unico rituale che la madre aveva conservato: l’accensione delle candele in ginocchio, con un leggerissimo scialle drappeggiato sul capo. Marcel preservò il rituale nella propria famiglia e le serate attorno a quelle candele erano scandite da fragorose risate, dove lui parlando in falsetto dava voce al pollo, che misteriosamente prendeva vita e diceva “Non mangiarmi!”. Di quelle candele, Marcel non si liberò mai. Come ricorda Camille: “Alla tua morte, ho scoperto una scatola che conteneva tutti quei rimasugli di cera: ti era stato impossibile buttar via quei testimoni silenziosi, che in futuro avrebbero acceso una nuova fiamma…”.
LA SCELTA DI DIVENTARE UN RESISTENTE
Parlando dei segni inquietanti del nazismo che la Germania mostrava già anni prima dell’impensabile, Marcel ricorda, a differenza di tanti che ancora oggi non hanno ben chiara la successione degli eventi, come: “Il Partito nazionalsocialista al potere imitava gli italiani che lo avevano preceduto nel 1923”. Cosa fare allora? Nel 1942, sotto la guida del fratello Simon (Alain), Marcel si unisce clandestinamente alla Resistenza. Il fratello era uno dei responsabili della rete chiamata “Sixième” a Moissac con l’EIF (Èclaireurs israélites de France), che avevo lo scopo di salvare i bambini ebrei e i perseguitati politici. Marcel, come testimoniano alcuni stupendi acquerelli, era abile nel disegno, un talento che gli ha permesso di creare documenti falsi: “Bisognava creare carte d’identità false, sotto l’occhio vigile di mio fratello. Con correttore e pastello, falsificavo carta d’identità e tessere annonarie. Eravamo una delle piccole maglie della grande rete della Resistenza”. Infatti, Marceau è ricordato per avere salvato dei bambini durante la Shoah. Le stime parlano di circa 70 bambini che scamparono a morte certa. Nella biografia racconta quando nel 1943 era riuscito nell’impresa, passando la frontiera ad Annemasse verso la Svizzera, travestito da scout. Faceva credere nel caso di un controllo che stavano andando in vacanza. “Incarnavo il mio ruolo di attore e mi dicevo che la realtà superava il teatro. I bambini sapevano la loro parte a memoria; dovevano fare un’escursione nelle vicinanze del Monte Bianco…”.
L’INFANZIA NELL’HATIKVAH
Nel comporre le pagine della sua vita, Marceau non dimentica di scrivere degli anni passati nei movimenti giovanili ebraici: “All’epoca facevamo anche parte di un movimento giovanile, chiamato Hatikvah che promuoveva il ritorno dei giovani in Israele. La domenica di solito giocavamo a palla prigioniera con ragazzi e ragazze nel giardino della Contades o sulle fortificazioni”. Durante quei giochi non sono mancate, come di consueto, le risse con dei teppisti che quando erano nei paraggi cercavano o di rubare loro la palla o di importunare le ragazze.
BIP, IL SUO PERSONAGGIO
Se non fosse stato per Charlot, Marcel non sarebbe mai diventato un Mimo. Aveva cinque anni quando lo aveva scoperto al cinema di Lille. “Arlecchino da Barrault, mimo da Ètienne Decroux, attore con Dullin, stavo vivendo l’inizio del mio sogno; avevo studiato Charlot, Barrault, Pierrot, ma sentivo il bisogno di creare il mio personaggio. Così il 22 marzo del 1947, cerone bianco sul volto e sopracciglia nere pitturate sulla fronte, nasce Bip, il clown che invece della parola, per comunicare usa i gesti”. E incanta il mondo.
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