Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/09/2024, a pag. 8, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Putin: 'Voglio il Donbass' E dice di sostenere Harris 'La sua risata è contagiosa'".
Anna Zafesova
Vladimir Putin vota Kamala Harris, e lo dice in pubblico, al Forum economico di Vladivostok: «Il nostro favorito era Biden, ma è stato eliminato dalla gara», ricorda. Quindi il Cremlino ha spostato le sue preferenze verso la sua delfina, grazie anche «alla sua risata talmente contagiosa, vuol dire che le va tutto bene». Un buon umore che, si augura il presidente russo, potrebbe spingere Harris ad astenersi da nuove sanzioni contro la Russia, mentre Donald Trump «ne aveva introdotte più di qualunque altro leader». Una presa di posizione talmente esplicita per un capo di Stato da far pensare a una presa in giro: la risata di Kamala è uno dei tratti della candidata democratica più derisi dal suo avversario, accusato dai democratici di venire beneficiato da operazioni di influenza mediatica di Mosca, come era già successo nella campagna del 2016. Una svolta, almeno a parole, talmente radicale rispetto alla scommessa del regime putiniano su Trump, anche e soprattutto per interrompere l'aiuto di Washington all'Ucraina, da far pensare quasi a una operazione di disinformazione a beneficio del pubblico americano, o almeno di quella sua parte che trova imbarazzante l'affinità del candidato repubblicano con il Cremlino. Ma se la dichiarazione di Putin potrebbe venire letta anche in una chiave sarcastica, il suo portavoce Dmitry Peskov qualche giorno fa aveva fornito una spiegazione più razionale dell'endorsement a Harris: «I democratici sono più prevedibili».
Se fosse sincero, significherebbe che Putin preferisce tutto sommato lo status quo di una buona guerra a una cattiva pace. Del resto, davanti alla platea di Vladivostok - tradizionalmente rivolta più all'Asia del Pacifico che al versante Ovest - sceglie di parlare poco dell'Occidente, per privilegiare il "Sud globale": ringrazia per la mediazione nello scambio di prigionieri il leader turco e il principe saudita, e ipotizza che un futuro negoziato sulla conclusione della guerra contro l'Ucraina potrebbe avere come intermediari «Cina, Brasile o India». Un invito che appare più come un'apertura alle potenze Brics che un progetto reale: il leader russo ribadisce come sempre che «non ci siamo mai rifiutati di negoziare», ma aggiunge subito di non essere disposto a trattare su «richieste effimere», e di voler ripartire dalle bozze degli accordi raggiunti a Istanbul nel marzo 2022, in altre parole, cessione di territori ucraini e sottomissione della politica estera di Kyiv al controllo di Mosca. Ma subito dopo aggiunge anche che «nessun negoziato è possibile» con il governo di Zelensky, che chiama «extraterrestri, o forse stranieri» per volere «arruolare bambini come faceva la Germania fascista nell'Hitlerjugend».
Il dittatore russo appare molto più convinto di una vittoria militare imminente delle sue truppe, e si dilunga sul «fronte che sta per crollare» e sulle «perdite enormi» degli ucraini. Si vanta dei «tempi accelerati» dell'offensiva russa, «era tanto tempo che non avevamo così tante conquiste territoriali», e sostiene che i russi abbiano già fermato l'avanzata ucraina a Kursk, dove la situazione si sarebbe «stabilizzata» e il nemico viene «schiacciato e respinto», dopo essere stato «indebolito su diverse direttrici». Putin accusa Kyiv di aver voluto lanciare l'affondo a Kursk per «fare innervosire le forze russe» e spingere Mosca a fermare l'offensiva nel Donbas, che invece rimane «la priorità» del comando russo. La cosiddetta "operazione militare speciale" continua con un obiettivo chiaro: «La conquista dell'intero Donbas» ha affermato Putin.
In realtà, perfino i blogger della propaganda russa ammettono che dopo un mese gli ucraini hanno stabilizzato la loro presenza nei territori occupati russi, molto più estesi delle conquiste fatte nello stesso tempo dalle truppe del Cremlino. Come accade spesso, è difficile distinguere se Putin faccia consapevolmente buon viso a cattivo gioco o se sia convinto di quello che dice anche perché non conosce la situazione reale, come è capitato ieri anche con la promessa di produrre in serie l'aereo leggero Baykal: un'ora dopo, il ministro dell'Industria russo Manturov ha annunciato che il progetto è stato spostato al 2026. La stessa perplessità riguarda le affermazioni di Putin sul fatto che in Occidente ci sia «recessione e molti settori al collasso» in seguito alla decisione di rinunciare agli idrocarburi russi. Anche qui, il messaggio è duplice: da un lato, Putin dichiara di non volere interrompere il transito di gas russo attraverso l'Ucraina, ma aggiunge che se Kyiv deciderà di chiudere il rubinetto la Russia recupererà con vendite su altri mercati (gli stessi analisti di Gazprom stimano la possibilità di tornare ai livelli di esportazioni precedenti alla guerra tra dieci anni, e solo a condizione di lanciare il secondo gasdotto verso la Cina, che Pechino non ha ancora approvato).
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