10/6/02 Gay Pride, chi l'ha capito e chi no
Tentativo di accusare l'Israele di omofobia
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/06/2002
Pagina: 1
Autore: Dviri
Titolo: Mi piacerebbe se un leader di Gerusalemme si dichiarasse gay
Per l'ennesima volta, nel suo ennesimo sgangherato e sconclusionato articolo pubblicato sul Corriere della Sera di sabato 8 giugno, la signora Dviri si dedica al suo sport preferito: dare informazioni e immagini false su Israele. Il pretesto, questa volta, è la manifestazione del "gay pride" svoltasi a Gerusalemme.

«Mi piacerebbe se un leader di Gerusalemme si dichiarasse gay»

Mio padre, pace all'anima sua, diceva che Sammy Davis junior era il massimo della sfiga: nato assai bruttino, con un occhio solo, nero, gli era venuta anche la brillante idea di farsi ebreo.

Con tutto il rispetto per il signor Vitali Norsa, pace all'anima sua, questa cosa l'hanno detta in molti.


«Anche voi dell’Arcigay italiani non scherzate», ho detto al signor Sabbadini (che dal nome credevo ebreo e invece no) capo della delegazione Arcigay, al suo arrivo. Bisogna essere molto coraggiosi, e anche un po' masochisti, per voler partecipare alla parata gay pacifista di Gerusalemme, attesi con impazienza dai membri religiosi della giunta che con buon anticipo hanno espresso la loro preoccupazione per la santità di Gerusalemme (che i gay potrebbero contaminare, anche fisicamente)


era successo anche a Roma, ma non ricordiamo prese di posizione da parte della signora Dviri in quell'occasione.


e in ogni caso hanno deciso che i vigilantes e i poliziotti per la dimostrazione, i gay - visto che sono pacifisti - se li devono pagare di tasca loro.


Anche i negozi e i locali israeliani si pagano di tasca loro i vigilantes contro i terroristi, ma la signora Dviri non se n'è mai lamentata.


Bel coraggio hanno avuto a dimostrare all'interno della Città Santa, tra arabi, israeliani, suore, frati, soldati, rabbini, ortodossi, cristiani, religiosi con riccioli e senza riccioli, con palandrana e senza palandrana, coloni, estremisti di ogni genere, idea e colore e dulcis in fundo, finti re David con le ali di cartapesta (giuro che esistono).

Tutti ansiosi di pestare gli omosessuali?


«A dire il vero - mi ha confessato il signor Sabbadini - a esibire un triangolo rosa (simbolo delle vittime omosessuali nei lager nazisti) davanti alla chiesa del Santo Sepolcro ci siamo arrivati solo un manipolo di disperati, quattro gatti, anzi letteralmente eravamo in quattro gay italiani e due giornalisti, e ne siamo usciti incolumi per un grande colpo di fortuna. I bulli della zona e i religiosi in loco non avevano capito il significato del triangolo rosa».


Ci possiamo credere: è solo nella civile Europa che agli omosessuali può accadere di essere marchiati col triangolo rosa e spediti in gas, non certo nel barbarico Israele.


Avevano però capito il significato delle scritte stampate sulle magliette e, quando i nostri quattro eroi hanno capito che era venuto il momento di salvarsi la pelle, se ne sono prudentemente e molto rapidamente andati.


E chi legge queste righe senza conoscere la realtà israeliana potrebbe farsi l'idea che ad essere omosessuali in Israele ci si rischi la pelle. Vorremmo dunque informare a signora Dviri, che evidentemente non lo sa, che in Israele vive un discreto numero di omosessuali palestinesi, scappati lì per salvarsi - loro sì letteralmente - la pelle. E che in Israele, unico posto al mondo, un soldato può dichiararsi apertamente omosessuale ed essere accolto nell'esercito senza alcuna discriminazione; ha il diritto di chiedere una stanza riservata nel caso che il dormire fra un gran numero di aitanti commilitoni gli crei turbamenti; ha il diritto di avere il supporto di uno psicologo se la vita in caserma gli crea particolari problemi.


Ma non finisce qui. Al centro di Gerusalemme li aspettavano gli estremisti di destra e gli ultrà religiosi


che fra gli amici palestinesi della signora Dviri evidentemente non esistono


(armati, dicono, di frutta e verdura di stagione)


è a causa di queste armi che gli omosessuali hanno rischiato la pelle?


e guidati da una pasionaria coi capelli neri al vento che sventolava striscioni tipo «chi va al gay pride non è (più?...) ebreo». Prima ancora che la polizia riuscisse o volesse intervenire,


la signora Dviri sta cercando di insinuare che se viene aggredito un omosessuale la polizia israeliana non ha nessuna intenzione di intervenire a salvarlo?


i nostri prodi si sono trovati con la bandiera d'Italia e gli striscioni strappati, ma anche, per questa volta, vivi.

Caso mai fosse sfuggito il primo passaggio, meglio ribadire: sopravvivere in Israele, per un omosessuale, è un vero terno al lotto!


A questo punto sono arrivati i rinforzi , cioè il grosso del gruppo, arabi ed ebrei, israeliani e un palestinese in incognito, circa 2500, 3000 persone in tutto. Ed è iniziata la parata, molto ben sorvegliata per paura di attentati, tra i fischi dell'armata della pasionaria. Tutti in fila per promuovere l'amore senza confini, il rispetto delle diversità sessuali, la pace, la tolleranza, la giustizia sociale, la libertà e la felicità. Parole sante di un'ingenuità commovente. Si vede che bisogna essere diversi per trovare il coraggio di dire le cose più semplici, quelle essenziali, quelle che tanti che si dicono uomini hanno da tempo dimenticato.


La signora Dviri intende suggerire che gli omosessuali non hanno invece il diritto di dirsi uomini?
E se qualcuno dei nostri potenti avesse il coraggio di dichiararsi, di fare il «coming out» e di uscire all'aperto, alla luce del sole, da orgoglioso gay, non c'è dubbio che ci sarebbero meno repressi e disperati in questi luoghi.


Scusi, signora Dviri, ma questa proprio non l'abbiamo capita: potrebbe essere così gentile da spiegarcela?

Proponiamo, ai lettori di Informazione Corretta, dopo le sconsiderate righe della Dviri, un esempio di vero giornalismo. Un po' di giornalismo corretto, per così dire, da Fiamma Nirenstein sulla Stampa.


SFILATA PACIFICA E GIOIOSA A GERUSALEMME
GUERRA E GAY PRIDE

SE si vuole capire la complessità della democrazia, basta guardarla in tempo di guerra, quando è anche tempo di gaypride. Sì, perché in Israele possono andare insieme. Ieri nella piazza Sion di Gerusalemme, la città più clericale del mondo, dato che di strutture religiose ne ha tre - quella ebraica, quella musulmana e quella cristiana -, si è svolta, con la benedizione del sindaco, una bella sfilata di gay pride: ragazzi e ragazze omosessuali, ben quattromila e fra loro una delegazione italiana guidata da Renato Sabbadini che è andata ad appendere un triangolo rosa sul Santo Sepolcro. Qualche urlo di protesta dai margini della strada, ma poca roba. Un potente schieramento di polizia proteggeva un corteo molto fiero di avercela finalmente fatta nella Città Santa. E qui interviene la seconda variante significativa: piazza Sion è forse, insieme alla zona delle Twin Towers, la zona urbana in cui si è più accanito il terrorismo suicida. Non c'era angolo, intorno a quei ragazzi che ballavano e cantavano e si abbracciavano, dove non fosse saltata per aria qualche decina di persone: nei pub, all'angolo di via Neviim, all'ex caffè Atara, saltato per aria tre volte. Eppure questa è la vita delle democrazia: dove il sangue è stato sparso è richiesto un celere ritorno alla vita, oltre ai monumenti si deve lasciare che si costruisca anche il dissenso, la contestazione, la lotta per i diritti umani. Terzo capitolo: i palestinesi. La manifestazione diceva «Free Condom Free Palestine». Cosa c'entrasse non è chiaro, forse la sinistra non si merita più da anni la patente di madrina anche dei diritti umani e del pacifismo, ma invece i gay gliel'hanno offerta gratis. Con una contraddizione difficile da sdipanare: una ragazza palestinese che ha letto una preghiera di simbolico «buon viaggio» in arabo (preghiera letta anche in ebraico da un israeliano e in inglese dal nostro Sabbadini per i cristiani) alle domande della cronista ha risposto che i palestinesi là non potevano venire, che nessun ragazzo arabo, maschio o femmina, può manifestare impunemente per «l'amore senza confini», come recitavano gli striscioni alti fra i palloncini colorati. Già lei, una ragazza che si occupa dei ragazzi palestinesi gay che arrivano a un centro sociale nel centro di Gerusalemme, lei che gay non è, sarà certo soggetta a una sanzione sociale, per sostenere la legittimità della vita gay nel mondo del Corano. Ultima complicazione, mancavano anche i ragazzi ebrei ultraortodossi, naturalmente: anche loro, se vengono scoperti, spesso si devono poi sposare rapidamente e procreare proprio per sgombrare il campo a ogni sospetto. Così è la vita proibita del gay in Terrasanta e dintorni. Ma in una democrazia, ecco che anche la Città non solo Santa ma anche tanto martoriata dalla guerra si riempie d'un tratto di gioia e di libertà, e persino di dissenso.
Fiamma Nirenstein




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