Io, 51 giorni schiava di Hamas
Testimonianza di Agam Almog-Goldstein, a cura di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio
Data: 02/09/2024
Pagina: 3
Autore: Agam Almog-Goldstein
Titolo: Io, 51 giorni schiava di Hamas

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 02/09/2024, a pag. 3 dell'inserto del lunedì, la testimonianza di Agam Almog-Goldstein, ex ostaggio di Hamas, dal titolo: “Io, 51 giorni schiava di Hamas”. Traduzione dal Washington Post a cura di Giulio Meotti.

Agam Almog-Goldstein, rapita il 7 ottobre. "I terroristi di Hamas entrarono nella nostra casa, sparando a mio padre, Nadav, e a mia sorella, Yam, in una furiosa esaltazione d’odio. Venni trascinata fuori di casa insieme a mia madre e ai miei due fratelli più piccoli e costretta a salire in macchina per Gaza"

Ogni giorno escono nuove rivelazioni degli ostaggi in mano a Hamas. Tra queste, una delle più drammatiche è quella di Agam Almog- Goldstein (17 anni), rapita da Hamas il 7 ottobre dal kibbutz di Kfar Aza insieme alla madre Chen e ai due fratellini Gal (11 anni) e Tal (9 anni), mentre il padre Nadav e la sorella Yam (20 anni) sono stati assassinati. “Crescere nel kibbutz Kfar Aza vicino al confine di Israele con la Striscia di Gaza ha significato un’infanzia che poteva essere interrotta in qualsiasi momento dalle sirene che avvisavano di un attacco missilistico di Hamas”, scrive Agam Almog-Goldstein sul

Washington Post. “Litigi tra fratelli o notti tranquille si trasformavano immediatamente in una corsa alla stanza di sicurezza più vicina. Hamas prese il controllo di Gaza qualche mese prima che io nascessi nel 2007, quindi vivere alla sua ombra è tutto ciò che ho sempre conosciuto. Avere quindici secondi per correre in salvo potrebbe non essere un tema comune nella nostalgia infantile, ma mi ero convinta che mi avesse reso più forte dei bambini della comoda bolla di Tel Aviv. Poi arrivò il 7 ottobre. I terroristi di Hamas entrarono nella nostra casa, sparando a mio padre, Nadav, e a mia sorella, Yam, in una furiosa esaltazione d’odio. Venni trascinata fuori di casa insieme a mia madre e ai miei due fratelli più piccoli e costretta a salire in macchina per Gaza. Vedo gli occhi sbiaditi di mio padre quando chiudo i miei di notte. Arrivando a Gaza, la macchina era circondata da una folla, per lo più persone che sembravano avere più o meno la mia età, diciassette anni o meno. Sorridevano e ridevano mentre io piangevo.

Nell’ebraismo, c’è una tradizione secondo cui l’odio infondato, l’odio slegato da ogni ragione, è ciò che ha portato alla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme. Ora so cosa significa essere odiati senza fondamento, per tutto ciò che sono e per tutto ciò che non sono. Le mie guardie di Hamas mi odiavano perché ero ebrea, quindi sono stata costretta a recitare preghiere islamiche e a indossare l’hijab. Mi è stato proibito di piangere mio padre e mia sorella, e spesso mi è stato ordinato di guardare a terra.

Sei donne ostaggio che ho incontrato in un tunnel mi hanno raccontato di uomini armati che sono entrati nelle loro docce e hanno toccato i loro corpi. Sentire parlare della paura di abusi sessuali di queste giovani donne è stato straziante. Quando una delle mie guardie mi ha detto che mi avrebbe trovato un ‘marito’ a Gaza, e che avrei vissuto il resto della mia vita come una moglie schiava incatenata, mia madre lo ha interrotto, deviando le sue avances. Sono stata fortunata a essere rilasciata, insieme ai miei familiari, in uno scambio di prigionieri dopo 51 giorni. Ma quelle sei giovani donne sono ancora prigioniere, tenute per più di 300 giorni, senza le loro madri. Avrebbero dovuto tornare a casa molto tempo fa.

L’odio infondato può portare una persona in luoghi orribili, ma quando quell’odio è condiviso da un gruppo, è terrificante da vedere. Una mattina, la mia famiglia è stata trasferita dalla nostra casa a una sala della scuola, piena principalmente di donne e bambini di Gaza. Degli estranei mi hanno chiesto se volevo qualcosa su cui sedermi o se avevo sete, un raro momento di connessione umana. Ma poi, in un istante, il basso brusio della conversazione è stato soffocato dal lancio di razzi da parte di Hamas, a pochi metri da noi, dall’interno del complesso scolastico. La sala è esplosa di gioia e, mentre i cittadini di Gaza festeggiavano, ho capito che Hamas ci aveva trasferiti lì per fungere da scudi umani. Poco prima che io e la mia famiglia venissimo liberati alla fine di novembre, una guardia ci tenne a dirci che, nella guerra successiva, Hamas sarebbe tornato per ucciderci. Non ci sarebbero stati più ostaggi, niente più accordi. Quando fummo trasferiti su un veicolo della Croce Rossa per il nostro viaggio fuori da Gaza, si formò una folla, proprio come quando eravamo arrivati. Ma settimane di intensi bombardamenti da parte di Israele avevano cambiato l’umore. Invece di ridere e scattare foto, i cittadini di Gaza bussavano ai finestrini e ci urlavano: ‘Morite, morite, morite’. La parola è quasi la stessa in arabo e in ebraico, ma, d’altronde, l’odio suona uguale in ogni lingua. In prigionia, avevo spesso riempito le lunghe ore silenziose fantasticando, cercando di tenere a bada il terrore e i ricordi terribili. Una delle mie fantasie era che saremmo stati liberati e che il mondo ci avrebbe abbracciati. Ma il mondo in cui sono tornata era profondamente diviso e ribollente di rabbia. L’odio che pensavo di essermi lasciata alle spalle a Gaza mi stava aspettando online. (…) Ho visto come il movimento in occidente per un cessate il fuoco a Gaza a volte si trasformasse in un sostegno a pieni polmoni a Hamas e nella caccia agli ebrei negli spazi pubblici.

Sono sicura che i miei rapitori mi odiano ancora, ma quando gli studenti americani invocano l’intifada o cantano in lode dei terroristi di Hamas ‘al Qassam, ci rendi orgogliosi’, mi viene in mente che lo fanno anche molte altre persone. Ora, potrebbe profilarsi una pericolosa escalation nella guerra iniziata il 7 ottobre, che coinvolge un regime iraniano che ha promesso da tempo di cancellare Israele dalla mappa. Il loro è lo stesso odio che ha ucciso mio padre e mia sorella. Lo stesso odio che avvelena troppi campus e troppi social media. Poi è arrivata la notizia che le forze israeliane a Gaza avevano recuperato i corpi di sei ostaggi. Non è chiaro quanti degli oltre cento ostaggi trattenuti da Hamas siano ancora vivi. I negoziati per il loro rilascio continuano. Prego per la loro libertà, ma non mi faccio illusioni sul mondo in cui torneranno”.

(Traduzione di Giulio Meotti)

lettere@ilfoglio.it