Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/08/2024, a pag. 1, con il titolo "Tutti i 7 ottobre di Israele" il commento di Micol Flammini.
Micol Flammini
Farhan al Qadi ha trascorso trecentoventisei giorni in prigionia, da un tunnel all’altro del sottosuolo di Gaza. Sopra la sua testa c’erano i bombardamenti, nella sua testa c’erano i ricordi della mattina del 7 ottobre che sembrava continuare imperterrita da quando stava andando al lavoro e si è ritrovato davanti uomini armati con il volto coperto che urlavano, davano ordini, uccidevano, torturavano, strattonavano, e poco importava se davanti a loro avessero un musulmano, come Farhan: era comunque un israeliano, come gli altri. Farhan è beduino, Hamas lo ha spostato da un tunnel all’altro, gli ha sparato, lo ha operato per estrarre il proiettile dalla sua gamba senza anestesia, lo ha nutrito a pane e datteri, gli ha ucciso altri ostaggi davanti agli occhi, al suo fianco. Quando i soldati israeliani sono arrivati per liberarlo in un tunnel di Rafah, nel sud della Striscia, i miliziani che lo tenevano prigioniero sono fuggiti, lui si è messo in cammino nel buio che ormai conosceva da dieci mesi, ha gridato: “Non sparate, sono Farhan!”. E’ tornato in Israele, con la paura nascosta negli occhi, ha abbracciato famigliari e amici, undici figli e due mogli e al telefono con il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto, appellandolo in arabo e con molta ironia: “Abu Yair (padre di Yair), hai fatto un lavoro sacro, adesso però ci sono altri che stanno aspettando”. Gli altri sono centosette, più di trenta sono morti, la società israeliana spera in un accordo per vederli tornare, protesta ogni giorno, con rabbia, con dolore, con scherno, ma mentre protesta si porta avanti e pensa a come organizzare la cerimonia in ricordo del 7 ottobre, vuole ricordare, ripercorrere, chiamare chi forse sarà ancora al di là dal confine. Si litiga anche su come ricordare, il presidente Isaac Herzog aveva proposto una cerimonia unitaria, con la politica e i militari e i civili, ma le famiglie degli ostaggi, dei ragazzi uccisi al Nova Festival, degli oltre mille cittadini trucidati in un solo giorno dai terroristi, i sopravvissuti e chi ha fatto ritorno dalla prigionia, non vogliono avere il premier e altri politici accanto nel giorno della commemorazione. C’è chi si sente tradito dalle autorità perché non sono riuscite a prevenire il 7 ottobre, chi è furioso perché crede che il mancato ritorno degli ostaggi sia soltanto una questione politica e non di sicurezza, e chi invece ritiene che non sia il momento di trattare, ma di combattere, di eliminare Hamas, la causa di questo dolore. Non ci sarà un 7 ottobre, ce ne saranno molti, ognuno per ogni ricordo e per ogni perdita, ci sarà anche quello dei sopravvissuti, ce ne sarà uno per ogni kibbutz, per ogni strada. Tutti ricorderanno che Israele è rimasto intrappolato nella più cruda delle scelte: liberare gli ostaggi o eliminare Hamas. Ieri le famiglie dei prigionieri sono corse al confine con Gaza, hanno percorso la stessa strada violata dai terroristi che sulle moto e i pick up portavano i duecentocinquantatré ostaggi rapiti in una mattina di ottobre. Padri, madri, amici hanno preso un microfono, hanno urlato i nomi di chi è ancora di là, anche quelli dei morti. Hanno promesso: tornerete a casa.
LA LETTERA DI UN SOPRAVVISSUTO DEL 7 OTTOBRE CHE SI È SUICIDATO
Un giovane israeliano sopravvissuto al massacro del 7 ottobre ha deciso di mettere fine alla sua vita dopo aver assistito all’orrore di quel giorno, compreso lo stupro di una ragazza. Sua sorella ha pubblicato la lettera che lui ha scritto prima di uccidersi.
Ehi tu, ti prego di perdonarmi! Tutto è iniziato giovedì, ballavamo e ci divertivamo, poi è arrivato venerdì – stavamo bene, c’erano amici che non vedevamo da anni – e ci siamo riuniti per ballare e festeggiare la vita.
Sabato mattina, sorge il sole ed è davvero bello, inizia a splendere su tutti noi. Balliamo, siamo felici, ci abbracciamo, alcuni dei miei amici cominciano ad andare via. All’improvviso, i razzi iniziano a volare sopra le nostre teste. Li riconosco, fanno parte della mia vita, io sono del sud di Israele. Vedo i deltaplani e come prima cosa penso: spero che non gli succeda niente. Poi iniziano gli spari: cosa sta succedendo? Vediamo arrivare un camion, paracadutisti vestiti con uniformi straniere – uccidono tutti.
Hanno appena ucciso Shay, hanno ucciso Adi... stanno portando via una ragazza, che è seduta lì ad abbracciare il suo ragazzo ucciso. Improvvisamente tu corri verso i cespugli dove sono seduto e ti nascondi, io sono fermo e zitto, non emetto alcun suono.
Un terrorista è proprio sopra il cespuglio in cui mi sto nascondendo e prego che non mi veda – prego così tanto, è una cosa che non ho mai fatto nella vita... Dio può sentire la mia preghiera. Ma tu non smetti di piangere forte perché ogni secondo qualcuno viene colpito e ucciso.
Ti hanno vista, ti stanno trascinando fuori dai cespugli. Loro sono quattro e tu sei una sola. Gridi aiuto. Uno di loro ti dà un pugno per farti tacere e tu cerchi di opporti guardando verso la mia direzione, perché io ti salvi. Ma se esco, verremo uccisi entrambi. Io voglio vivere!
Sto seduto lì in silenzio, e loro iniziano a spogliarti. Piango, sento di dover urlare, ma una mano mi fa tacere. Forse è la mano di Dio, o di non so chi. Ti girano a pancia in giù e cominciano a violentarti, uno per uno. Ti girano di nuovo e ti urlano qualcosa in inglese, vogliono farti vedere come ti hanno sconfitta. Cerchi di strisciare verso di me e io prego che succeda qualcosa, che qualcuno li uccida in modo che tu possa uscirne viva, ma mentre strisci verso di me e loro sono sopra di te – arriva lo sparo.
Ti hanno uccisa, ma prima di uccidere il tuo corpo hanno ucciso la tua anima.
Sono rimasto lì, tra i cespugli, per ore, senza uscire. Ho visto una bottiglia d’acqua accanto a te e avevo una sete incredibile, ma non potevo sopportare il pensiero che avrei dovuto salvarti, quindi come potevo essere così irrispettoso e bere la tua acqua?
Ho toccato il fondo, non riesco più a vivere. Il tuo sguardo mi segue ogni giorno: nella doccia, nel sonno, nella mia stanza. Non sono riuscito a tornare al lavoro, non ne sono stato capace. Sono stato a casa tua. Non ho detto ai tuoi genitori quello che hai passato, ma a loro è stato detto che il tuo corpo è stato abusato, e io ne ero testimone.
Ti chiedo perdono. Sto venendo da te, nel prossimo grande mondo, prometto che lì ti salverò e ti proteggerò. Ti prego, perdonami. E non preoccuparti, ho lasciato un biglietto alla mia famiglia, dicendo loro quanto li amo e ringraziandoli per la vita che mi hanno dato.
Mia sorella sta per avere un bambino, ho pensato di restare per conoscere mio nipote, ma non credo che debba conoscere lo zio che non è riuscito a salvarti.
Mi va bene così, lo guarderò dall’alto.
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