Solidarietà araba e fratellanza islamicae
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.dreuz.info/2024/08/solidarite-arabe-et-fraternite-islamique-302284.html
Il 7 ottobre, l’ondata delle orde di Hamas si è abbattuta sui kibbutz e sulle città intorno alla Striscia di Gaza, seminando morte e distruzione e commettendo atrocità indicibili al grido di “Allah è grande”; poi si è ritirata, portandosi via 251 persone utili come ostaggi. Tra queste persone c'era Kaid Farhan Alkadi, 52 anni, un beduino del Negev, padre di dieci figli, che quel giorno era andato a lavorare come di consueto presso la fabbrica di imballaggi del Kibbutz Magen dove svolgeva il suo ruolo di guardiano. Il suo doppio status di arabo e di musulmano non aveva avuto alcunpeso adeguato per essere risparmiato. Imprigionato nei sinistri cunicoli dell'organizzazione terroristica, non ha beneficiato di un trattamento di favore, dovendosi accontentare, come la maggior parte degli ostaggi, di un po' di pane, e neppure tutti i giorni. Come tutti loro, non gli è mai stata permessa la visita di un rappresentante della Croce Rossa.
Lo scorso martedì mattina, 27 agosto, lui era ancora uno dei 109 ostaggi – vivi o morti – ancora nelle mani di Hamas, che intende scambiarli a caro prezzo. Quel pomeriggio, pensò di avere un'allucinazione quando udì una voce che chiamava il suo nome in ebraico. L'esercito israeliano, sulla base di precise informazioniottenute dai servizi segreti, aveva avviato un'operazione ad alto rischio per liberarlo. In realtà si temeva che i soccorritori fossero stati attirati in una trappola o che attorno al prigioniero fosserostati ammucchiati degli esplosivi. Per fortuna non è andata così. Kaid Farhan Alkadi è stato portato fuori dal tunnel, e dopo undici mesi senza vedere la luce del sole teneva le palpebre socchiuse. Gli hanno dato subito degli occhiali da sole prima di trasferirlo velocemente sull'elicottero che l’avrebbe riportato in Israele. Bisognava agire rapidamente in quella zona di combattimento. In pochi minuti il beduino è arrivato all'ospedale Soroka di Beersheba dove è stato curato da un'équipe specializzata.
Quella sera aveva ancora difficoltà a credere di aver avuto tanta fortuna. Indebolito, smagrito – ha perso 25 chili secondo i familiari – con gli occhi ancora tormentati dal lungo incubo appena vissuto, lui cerca di sorridere. I suoi fratelli gli si stringono intorno; uno di loro arriva correndo, portando in braccio il bambino di sei mesi nato durante la prigionia di suo padre.
Il Primo Ministro Netanyahu e poi il Presidente Herzog telefonano per avere sue notizie. Lui insiste sulla necessità di salvare rapidamente gli ostaggi ancora vivi prima che sia troppo tardi. Ora dovrà sottoporsi a degli esami prima di poter finalmente percorrere la strada verso casa. E Hamas? Deluso per aver perso la faccia – e per aver perso uno dei suoi assi nella manica – cerca di fare bella figura e afferma contro ogniverosimiglianza di essere stato lui ad aver scelto di liberare il beduino per la solidarietà araba e la fratellanza islamica... a distanza di undici mesi.
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