Quel silenzio sinistro sulle liste PCI
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 26/08/2024
Pagina: 1/6
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: La sinistra resta in silenzio sulla lista di proscrizione con i bersagli del nuovo PCI

Riprendiamo da LIBERO di oggi 26/08/2024, a pag. 1/6, con il titolo "La sinistra resta in silenzio sulla lista di proscrizione con i bersagli del nuovo PCI", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Una lista di proscrizione con i nomi di tutti i "sionisti" (alcuni non lo sono proprio) stilata dal nuovo PCI e pubblicata in rete. La sinistra, in questo caso, è stranamente silente su questo atto di violenza squadrista online.

 

C’è qualcosa di non detto, di irrisolto, si avverte perfino un senso di imbarazzo e reticenza intorno alla grave storia delle liste di proscrizione elaborate e diffuse dal nuovo partito comunista.
Lo testimonia la rinnovata fortuna – da troppe parti – di un aggettivo orribile e vile che già in altra epoca di terrorismo italiano fu usato per attenuare, per offuscare, per confondere: mi riferisco all’aggettivo “sedicente”. «Le sedicenti Brigate Rosse» fu l’indegna formula usata per anni (fino a quando il sequestro Moro rese le finzioni e i camuffamenti sempre più difficili) da non poche redazioni per ingannare i lettori, per seminare il dubbio, in ultima analisi per occultare il fatto che ci fosse un terrorismo rosso da riconoscere immediatamente come tale.
Molti decenni dopo, si è purtroppo dovuto rileggere che il «sedicente nuovo partito comunista» ha diffuso la lista di quelli che considera «agenti sionisti» in Italia. Ma come «sedicente»? Il documento c’è, è purtroppo autentico, ha una paternità e una matrice indiscutibili. Di più: non si tratta solo di una lista (scombiccherata come ogni elenco), ma c’è anche una miniprofilazione di ognuno dei bersagli, inclusi il direttore responsabile di Libero Mario Sechi e chi scrive questo articolo. Il che parla chiaro: un gruppo di inequivocabile connotazione ideologica comunista ha effettuato ricerche, ha steso un elenco di soggetti da colpire o almeno da esporre all’azione propria o di altri.
Su un numero così elevato di persone – non scortate né protette – basta poco a passare dalle parole ai fatti.
E guardacaso (ecco l’altro aspetto che si cerca di sminuire: sì, lo si cita, ma senza ragionarci sopra e senza scavarci dentro) questa operazione di marca ideologica rossa sceglie senza esitazioni un connotato che ritiene insopportabile: il fatto che una serie di persone osino pensare e parlare a favore di Israele e degli ebrei.
Ricorderete che, nel celebre racconto di Edgar Alla Poe, la lettera rubata che gli investigatori cercavano in chissà quale nascondiglio era invece lì, in bella vista sulla scrivania del ministro ricattatore. Mutatis mutandis, anche nel nostro caso è tutto chiaro, nulla è nascosto o particolarmente difficile da decifrare: c’è una saldatura tra gruppi e gruppuscoli comunisti e la causa anti-israeliana e anti-semita. Dopo anni spesi a denunciare un antisemitismo di destra che di fatto è pressoché sparito (tranne qualche isolato ed esecrabile cretino), c’è qualcuno che finge di non vedere il classico elefante nella stanza: e cioè un antisemitismo di sinistra che esplode in forme inaccettabili attraverso la listarella di proscrizione, ma gode di ampia protezione e direi quasi di accettazione sociale nelle redazioni dei giornali, nelle università, nel mondo politico, nella “migliore” (si fa per dire) cultura italiana.
E allora ecco le escogitazioni, gli espedienti per distrarre, i dibattiti a vanvera: ma era giusto dare spazio alla cosa? Era opportuno pubblicare la lista? Il tentativo è fin troppo chiaro: defocalizzare il problema e sviare la discussione dal suo cuore. Quella lista c’era, circolava in rete, era stata preparata con cura: e dunque è stato sacrosanto – ad esempio da parte di questo giornale – denunciare l’operazione, sviscerarla, spiegarla, illustrarla. E soprattutto collegarla al clima in cui siamo immersi.
Parliamoci chiaro: dopo l’orrore del 7 ottobre, il rito (spesso ipocrita) delle condoglianze agli ebrei è durato meno di ventiquattr’ore. Già l’8 ottobre c’era chi, una volta dette due frasette di circostanza, iniziava a deplorare un’ipotetica risposta di Israele. Da allora abbiamo assistito a un crescendo di mistificazioni, di indegne equiparazioni tra il governo democratico di Gerusalemme e le belve terroriste di Hamas. Fino a ieri, quando il tentativo è stato quello di presentare Hezbollah come una specie di vittima dell’azione israeliana, con i terroristi libanesi in qualche modo costretti a rispondere. Quando anche i sassi sanno che era ed è vero il contrario: è stata ed è Hezbollah a minacciare Israele.
Come si vede, si parte da un elenco e si arriva molto lontano: a un pezzo di Occidente che detesta se stesso, e che mostra – in modo più o meno scoperto – comprensione e perfino simpatia per chi, da fuori o da dentro, vuole usare la violenza per umiliare e insanguinare quella che dovrebbe essere la nostra parte, il nostro campo, la nostra casa. Su tutto questo, qui, non possiamo e non vogliamo chiudere gli occhi.

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