Riprendiamo da LIBERO di oggi, 24/08/2024, a pag. 12, con il titolo "Grana per la candidata: Kennedy jr si allea con il tycoon" l'analisi di Matteo Legnani.
All'indomani della Convention che l'ha incoronata candidata alla Casa Bianca, Kamala Harris si trova alle prese con una duplice grana. E la prima è davvero grossa. Ieri, infatti, Robert Kennedy Jr, ha dichiarato ufficialmente che rinuncerà alla corsa per la Casa Bianca e che, in vista delle elezioni del prossimo 5 novembre, sosterrà Donald Trump.
Il suo è stato un addio non senza polemiche: «La democrazia è poco più che uno slogan» ha detto da Glendale in Arizona, dove si trovava per un incontro coi suoi sostenitori, criticando il sistema elettorale americano e i media per essere stato escluso dai dibattiti pre-elettorali.
In Arizona, ma a Phoenix, ieri c’era anche Donald Trump, alla sua seconda uscita pubblica dopo l’attentato subito lo scorso 14 luglio. L’Arizona è uno dei sette Stati cosiddetti ballerini, ossia estremamente incerti e che di fatto saranno decisivi per l'esito delle presidenziali di novembre.
Lì, secondo i sondaggi più recenti, la Harris è data in vantaggio su Trump con il 45% dei voti contro il 42. Ma il ritiro dalla corsa di Kennedy e la sua indicazione di voto per Trump invertirebbero i valori in campo, visto che il rampollo della famiglia politicamente più famosa d'America è accreditato in Arizona di un 6%.
L’accordo Trump-Kennedy prevede l’ingresso di quest’ultimo in un ruolo apicale dell’amministrazione che prenderebbe forma dopo una vittoria del tycoon alle presidenziali. E ieri Newsweek ha ipotizzato per lui un ruolo da sovrintendente delle agenzie di sicurezza federali, incluse Cia ed Fbi.
Tornando sul fronte democratico, la Harris si trova tra le mani anche la patata bollente dei delegati “uncommitted”, mandati alla Convention da quegli elettori (per lo più americani musulmani) che alle primarie democratiche del Michigan non avevano votato per alcun candidato per protesta contro il sostegno fornito dall’amministrazione Biden all'azione militare israeliana nella striscia di Gaza.
Giovedì sera, la vicepresidente ha tirato un colpo al cerchio e uno alla botte, parlando della «orrenda aggressione subita il 7 ottobre da Israele» e del «diritto di Israele a difendersi e ad avere i mezzi per farlo», per poi dirsi «indignata per le vite perse e le violazioni dei diritti umani» a Gaza.
Un blabla che agli “uncommitted” non basta. Dopo aver ricevuto il rifiuto di parlare sul palco della Convention, i delegati filo-palestinesi, che controllano decine e decine di migliaia di voti, hanno lanciato un ultimatum alla candidata democratica, intimandole di incontrarli entro il 15 settembre. «Crediamo che sarebbe disastroso per la sua campagna continuare ad allontanare un base elettorale cruciale di cui ha bisogno a novembre per combattere il fascismo e l’autoritarismo» hanno minacciato.
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