Kamala, giornali italiani in delirio
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 24/08/2024
Pagina: 1/13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Tu Kamale se vuoi... salivazioni. Media italiani in delirio sulla Dem

Riprendiamo da LIBERO di oggi 24/08/2024, a pag. 1/13, con il titolo "Tu Kamale se vuoi... salivazioni. Media italiani in delirio sulla Dem", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Mai vista tanta tifoseria per un candidato di un altro paese. Per Kamala Harris, la stampa italiana è letteralmente in delirio. Eppure ci sarebbero molti lati oscuri di cui si dovrebbe parlare, ad esempio il suo rapporto "difficile" (eufemismo) con il problema dell'immigrazione e la sua posizione ondivaga e opportunista su Israele.

A leggere i giornali italiani, ormai completamente rinkamaliti (con eccezioni che si contano su poche dita di una sola mano di un grande mutilato), Kamala Harris ha già vinto le elezioni americane, al punto che parrebbe quasi una scortesia e una perdita di tempo attendere novembre per la formalizzazione del risultato nelle urne.
Non solo. Il Corrispondente Collettivo e il Commentatore Unificato hanno realizzato pure un altro miracolo: la vecchia Kamala, l’impacciata campionessa delle gaffes e delle risate sguaiate, non c’è più. Dev’essere sparita insieme alla vicepresidente Harris che gestì disastrosamente la delicatissima delega all’immigrazione. E chi è arrivata al loro posto? Nuova di zecca e fresca di fabbrica, è ora tra noi una Kamala trasfigurata e già in odore di santità, che aggiusterà tutto, inclusa quell’economia - ci si spiega - che va effettivamente rilanciata, anche se fino a qualche settimana fa i corifei dem ci spiegavano che la Bidenomics era un portento.
Ma non azzardatevi a spargere dubbi tra le nostre cheerleaders mediatiche, tra le majorettes kamaliane reduci dalla convention del partito democratico, che ancora fremono per l’emozione.
Il Corriere della Sera, che guida la classifica del lancio di petali di rosa, è arrivato ieri a decretare «il tramonto dei clan e delle dinastie» che da decenni spadroneggiano tra i democratici Usa. Ah sì? E allora chi erano i Barack e le Michelle Obama, i Bill e le Hillary Clinton che si sono accaparrati il prime time televisivo con i loro megadiscorsi congressuali, relegando il povero Biden a una malinconica comparsata verso le 23.30? Saranno stati omonimi e controfigure dei soliti pupari che, in compagnia dell’immarcescibile Nancy Pelosi, avevano condotto a luglio l’operazione per far sloggiare Biden e sostituirlo con la loro (semi)nuova campionessa.
Ma quasi tutte le testate italiane non smettono di suonare il violino. Ecco Avvenire: «Harris lancia la sfida alla storia». Sfidato per enfasi solo dal Domani: «Il ciclone Harris travolge la convention». Lirica la Stampa: «Kamala, noi il futuro». E poi un paginone su Oprah Winfrey, Michelle Obama e Hillary Clinton che – tenetevi forte – porterebbero nientemeno che «l’emancipazione al centro del dibattito». Stiamo parlando, sicuramente per loro meriti, di tre miliardarie: non certo di tre signore che hanno il problema del fine mese.
Ma perché guastare la narrazione?
In piena estasi c’è anche Repubblica: «Kamala Harris, la mia America».
Appunto, è già sua: senza neanche bisogno di votare. E poi Chicago la «incorona» (siamo già alla monarchia?) per «un futuro di ottimismo contro l’odio di Trump». Dite che c’è vaghezza programmatica? Ma no, sempre Rep vi spiega che «misteriosa o pragmatica, l’imprendibile Kamala sfida i tabù dell’America». E poi, nelle pagine successive, c’è spazio solo per «gioia, musica e voglia di libertà». Chiaro, no? Con Kamala si balla e si festeggia; con quello stronzo di Trump, invece, c’è solo cattiveria e divisione. Gran finale con i pensierini del responsabile esteri del Pd Peppe Provenzano, pure lui in gita a Chicago come Roberto Speranza, che era stato a sua volta intervistato il giorno prima.
Se avete resistito a queste colate di bava e di melassa, sappiate che adesso, però, a guastare i festeggiamenti anticipati dei nostri compagni potrebbe provvedere quella screanzata della realtà. Se infatti si va a consultare Polymarket (la super piattaforma di mercato predittivo dove si può scommettere sui risultati), le chances di vittoria di Trump sono al 51% contro il 48% della Harris (il che è abbastanza clamoroso dopo una convention che ha goduto di una trionfale copertura mediatica).
E i sondaggi? Questo dovrebbe essere il momento magico di Kamala. Notoriamente, infatti, dopo una convention si registra il famoso “bounce”, il balzo, il rimbalzo a favore del candidato che per una settimana è stato sotto i riflettori. E invece? E invece le cose vanno così così per la Harris. Secondo Real Clear Politics, nei sette stati in bilico, Kamala sarebbe avanti solo in due casi: Wisconsin (per 1 punto) e Michigan (per 2). Mentre Trump sarebbe in vantaggio negli altri cinque: Pennsylvania (+0,2), Arizona (+0,2), Nevada (+1,4), North Carolina (+0,9), Georgia (+1). Per carità: si tratta in tutti e sette i casi di margini strettissimi e manca ancora un’infinità di tempo. E c’è ragione di ritenere che la corsa resterà incertissima fino alla fine: del resto, le ultime due elezioni (2016 e 2020) sono state più o meno decise al fotofinish da appena 70mila elettori in tre stati. Ma – ecco il punto – la fotografia nel momento teoricamente più favorevole per Kamala non è così brillante come i suoi tifosi sui media vorrebbero far credere. L’altra notte, mentre la Harris parlava alla convention, Trump, che negli ultimi tempi non era stato brillantissimo ed era parso lento nel riconcepire la sua campagna dopo l’uscita di scena di Biden, ha piazzato una zampata efficace sul suo canale social Truth, rispondendo a Kamala in tempo reale: «Perché non ha fatto qualcosa a proposito dei temi su cui ora si lamenta?». E ancora: «Niente programmi precisi, solo chiacchiere, niente azione. Come mai non ha agito in questi tre anni e mezzo?». Insomma, Trump cerca di rispondere alla vaghezza di Kamala inchiodandola al suo quadriennio alla Casa Bianca in ticket con Joe Biden e tentando di metterle sulle spalle un’eredità che moltissimi americani considerano negativa. Tornando a Real Clear Politics, i sondaggi su questo parlano chiaro: il tasso di approvazione per Biden è solo del 40,8% (contro una disapprovazione al 55,8%), e la convinzione che il paese stia andando nella giusta direzione appartiene solo al 25,9%, contro il 64,8% convinto che stia procedendo in quella sbagliata. Morale. Da qui a novembre, se la macchina mediatica dem riuscirà atrasformare la campagna in un referendum demonizzante sul carattere di Trump, allora Kamala avrà grandi chances di prevalere. Se invece Trump terrà i nervi a posto e riuscirà lui a imporre una sorta di referendum sull’economia e sull’eredità del quadriennio Biden, potrà centrare la vittoria. Ma non ditelo agli inviati della stampa italiana: convinti di essere loro – mica gli elettori americani – a decidere chi sarà il prossimo presidente Usa.

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