Riprendiamo da LIBERO di oggi, 21/08/2024, a pag.1/3 con il titolo "Il silenzio degli indecenti" l'editoriale di Mario Sechi.
Mario Sechi
A sinistra il silenzio è d’oro.
Anche quando il tacere viene interrotto dal rumore della propaganda. Prenderò tre casi esemplari dalla cronaca.
Il primo caso è quello del cortocircuito tra informazione, magistratura e politica. Tema antico che per il Partito democratico e i suoi alleati non esiste. Qui pensiamo invece che sia un problema che altera il gioco democratico e danneggi chiunque - anche a sinistra - tenti di riformare le istituzioni, a cominciare dal settore della giustizia. Secondo l’opposizione le preoccupazioni di Giorgia Meloni su un disegno rivelato da Alessandro Sallusti sul Giornale - per indagare la sorella Arianna Meloni e destabilizzare la maggioranza sono infondate, frutto del “vittimismo” della premier. Ieri Giuliano Ferrara sul Foglio con saggezza ricordava che «in realtà si sente un certo odore di zolfo ed è un po’ surreale, in un paese così com’è messo il nostro, che venga attaccata come puzza sotto il naso vittimista la reazione politica di un ceto sempre a disposizione di procuratori e pistaroli dei media». È la stessa puzza di zolfo che sentiamo anche noi e se non bastasse, ecco Antonio Di Pietro che intervistato da Libero dice quanto segue: «Arianna Meloni va giudicata per quel che è lei, non perché è la sorella del presidente del Consiglio. Viene messa nell’occhio del ciclone per arrivare a Giorgia Meloni ed è una criminalizzazione ingiustificata». L’intervista a Di Pietro, condotta da Claudio Brigliadori, è ricca di spunti da seguire con attenzione, sono le parole dell’uomo che diede il via all’inchiesta di Mani Pulite, un magistrato politicamente distante dalla sinistra, una persona che conosce fin troppo bene i meccanismi delle procure. Le sue non sono tesi campate in aria, le sue parole poggiano su quella cosa chiamata “esperienza”. La sinistra su Arianna Meloni prima ha fatto scendere una cappa di silenzio, ha cercato di ignorare il caso e farlo passare nell’oblio immediato dei media, ma essendo la faccenda troppo grossa, ha adottato il diversivo, la tattica numero due del suo manuale di combattimento: screditare chi ha sollevato dubbi sul contesto, i fatti ripetuti, le connessioni inquietanti, i bersagli che appaiono sempre più chiari.
L’obiettivo della sinistra è quello di cavalcare un eventuale “incidente” giudiziario, capitalizzare la sortita di qualche procuratore invocando uno scenario d’emergenza e un cambio di governo. Fantasie? Siamo di fronte a un’opera in fieri: basta osservare il quadro internazionale, le relazioni del sistema finanziario e industriale con la politica, le pulsioni di un establishment che ha interesse a far deragliare l’unico solido governo guidato dalla destra in Europa. Ci sono le condizioni esterne per giustificare lo “stato d’eccezione”: due guerre, il voto negli Stati Uniti, la Francia e la Germania in cerca d’autore, tensioni geopolitiche crescenti tra Oriente e Occidente, e un inverno economico-finanziario tutto da scoprire. È questo il quadro da osservare con attenzione nei prossimi mesi.
Il secondo caso, è quello sul “metodo Fanpage” che il nostro Lorenzo Mottola ha raccontato con precisione: dietro il giornalismo con la schiena dritta - e rigidamente orientata a sinistra - c’è la realtà di un accordo sindacale che utilizza contratti ampiamente sottopagati rispetto ai parametri economici del contratto nazionale, quello promosso dal sindacato dei giornalisti (la Fnsi).
Lo scudo fondamentale per tutelare le redazioni dei giornali e l’autonomia delle testate è il contratto, la sinistra dei diritti per Fanpage fa un’ingombrante eccezione, perché parliamo di un sito che nel 2022 ha prodotto oltre 26 milioni di ricavi (+7%) e secondo le elaborazioni del Digital News Report di Reuters del 2024 è il primo brand di informazione digitale in Italia. Ottimi ricavi, pessimi stipendi dei giornalisti. E i famosi diritti dei lavoratori? Ai compagni sta bene così, tanto che Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Partito democratico, ieri ha sentito l’impellente bisogno di scendere in campo per Fanpage. Come diceva Giulio Andreotti, «a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina».
Il terzo caso, è quello di Stellantis, unico costruttore di automobili in Italia. Gli eredi Agnelli sono i principali azionisti, ma i francesi de facto sono al volante dell’azienda attraverso le partecipazioni combinate del gruppo Peugeot e del governo francese. Il capo azienda è il manager franco-portoghese Carlos Tavares, i ricavi nei primi sei mesi del 2024 sono in calo del 14%, l’utile netto è sceso del 48%. Nel 2023 Tavares ha ricevuto compensi totali per oltre 36 milioni di euro.
Notizia di ieri: Stellantis assume in Francia, mentre in Italia (che sorpresa) si procede con tagli e cassa integrazione in fabbrica. Nella stessa giornata, il sindacato americano in Illinois ha minacciato lo sciopero (anche nazionale) a causa del rinvio della riapertura della fabbrica di Belvidere. Il caso Stellantis è piombato sul palcoscenico della Convention dei democratici a Chicago, quando ha preso la parola il leader sindacale Shawn Fain, presidente di United Auto Workers, che ha accusato l’azienda di non mantenere gli impegni. Commenti dalla Cgil e dal Pd su Stellantis ieri? Conoscete la risposta. En passant, la holding degli eredi della famiglia Agnelli, Exor, ha in pancia una società che si chiama Gedi, è il gruppo editoriale di Repubblica e Stampa, il bilancio del 2023 è in rosso per 103 milioni di euro.
Sono i giornali che esprimono la linea politica e culturale dell’opposizione in Italia. Ecco perché a sinistra il silenzio è d’oro.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it