Riprendiamo dal BET Magazine-Mosaico, l'intervista di Nathan Greppi a Tufail Ahmad dal titolo "La stella e la tigre: Israele e l’India, un’ambigua alleanza"
Nonostante la cooperazione tra i due paesi in termini di accordi militari e scambi commerciali sia diventata sempre più proficua negli ultimi anni, c’è stato un tempo in cui l’India non aveva relazioni diplomatiche con Israele. Una situazione conclusasi nel 1992, quando le due nazioni stipularono accordi bilaterali divenuti sempre più stretti, soprattutto a causa della reciproca necessità di contrastare il terrorismo jihadista.
Sebbene i rapporti tra Nuova Delhi e Gerusalemme sembrino essere migliorati, soprattutto da quando l’attuale Primo Ministro indiano Narendra Modi è stato eletto per la prima volta nel 2014, in diverse occasioni l’India si è comunque allineata ai paesi che votano contro Israele alle Nazioni Unite.
Per approfondire la questione, Mosaico ha interpellato il giornalista britannico di origine indiana Tufail Ahmad; già redattore della BBC, dove si è occupato dei servizi in lingua urdu, attualmente è Senior Fellow presso il MEMRI (Middle East Media Research Institute), dove è stato direttore del South Asia Studies Project.
Alle ultime elezioni indiane conclusesi a giugno il partito di Modi, il BJP, ha perso la maggioranza assoluta. Quale potrebbe essere l’impatto sulla politica estera indiana?
La politica estera dell’India è dettata dai suoi interessi nazionali, a prescindere da quale partito politico vinca le elezioni. Anche se il Bharatiya Janata Party (BJP) ha perso la maggioranza assoluta alle elezioni di quest’anno, la maggior parte dei partiti di opposizione in India starà al fianco di Modi, nonostante le critiche che gli rivolgono, su questioni che coinvolgono l’Occidente e il Medio Oriente, così come sui rapporti con paesi vicini quali il Pakistan e la Cina.
Quali erano i rapporti tra Israele e l’India prima del 7 ottobre?
L’India e Israele hanno sviluppato forti relazioni economiche e militari negli ultimi decenni. Questa tendenza va avanti dal 1992, quando l’allora Primo Ministro Narasimha Rao, a capo di un governo di centrosinistra guidato dal Partito del Congresso, stabilì relazioni diplomatiche a tutti gli effetti con Israele. Il contributo israeliano, in particolare nel settore agricolo indiano, così come la cooperazione militare sono ormai consolidati e ci si può aspettare che continuino ad esserlo nei prossimi decenni. L’attuale Primo Ministro Narendra Modi è a capo di un governo di centrodestra, e a livello personale è vicino a Benjamin Netanyahu. Ma per quanto Modi si mostri cordiale con Netanyahu, il suo governo rimane profondamente consapevole del fatto che quasi nove milioni di indiani lavorano nei paesi arabi, e qualsiasi tentativo di essere percepito come vicino a Israele in politica estera può avere un impatto sui loro interessi. Sulla base di queste considerazioni, il Governo Modi è costretto a non sbilanciarsi troppo nei rapporti con i paesi del Medio Oriente.
Qual è stata la reazione del governo indiano ai fatti del 7 ottobre?
Non c’è stato alcun cambiamento significativo nella posizione diplomatica dell’India dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre in Israele. Un certo numero di commentatori occidentali ha elogiato Narendra Modi per la sua dura condanna degli attacchi di Hamas e per le sue espressioni di simpatia e preghiere nei confronti delle vittime israeliane. Tuttavia, la maggior parte di questi commentatori non tiene conto del fatto che le dichiarazioni di Modi, e in particolare quelle condivise sui social media, sono estremamente sfumate, e non sono state rilasciate dagli account ufficiali del Primo Ministro indiano. Nella sostanza, la posizione ufficiale dell’India in politica estera è formalmente espressa dal portavoce del Ministero degli Affari Esteri a Nuova Delhi. In una conferenza stampa tenutasi cinque giorni dopo l’attacco del 7 ottobre, il portavoce del Ministero Arindam Bagchi ha parlato di un “attacco terroristico”, ma ha aggirato le domande dei giornalisti che gli chiedevano nello specifico della designazione di Hamas come un’organizzazione terroristica, rispondendo semplicemente che c’è “una responsabilità globale nel combattere la minaccia del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni”. Nella stessa conferenza stampa, il portavoce ha sostenuto la “posizione di lunga data” dell’India, che sostiene “la ripresa dei negoziati per la creazione di uno Stato di Palestina sovrano e indipendente all’interno di confini sicuri e riconosciuti, in pace con Israele”.
Che cosa è cambiato invece dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas?
L’attacco di Hamas ha certamente posto un freno all’India e ad altri paesi che si stavano avvicinando ad Israele. Le immagini televisive da Gaza che entrano nelle case degli indiani tendono a rendere la posizione pubblica dell’India su Israele più complicata che mai. Tuttavia, non si vede alcun drastico cambiamento nella politica estera indiana nei confronti di Israele e del mondo arabo. Ciò è dovuto in particolare al fatto che Hamas non è riuscita ad ottenere l’appoggio di molti paesi islamici come il Pakistan, il Bangladesh e l’Afghanistan. In Pakistan, i leader religiosi del Jamiat Ulema-e-Islam e del Jamaat-e-Islami (partiti politici islamisti, ndr) hanno espresso il loro sostegno ad Hamas, ma anche l’esercito e i dirigenti politici pakistani hanno difficoltà a passare dalle parole ai fatti. Inoltre, l’India ha affrontato per più di tre decenni il terrorismo jihadista foraggiato dal Pakistan nella valle del Kashmir, ed è improbabile che possa approvare i metodi di Hamas, radicati nella natura globale del jihadismo.
In un suo editoriale apparso nel 2017 sul giornale indiano “The Print”, faceva notare come nonostante l’apparente vicinanza di Modi a Netanyahu, l’India continuava comunque a votare contro Israele all’ONU. Come spiega questa contraddizione?
Dopo aver subito secoli di dominio straniero, in un primo momento sotto la dinastia Moghul che ha regnato qui per secoli, e in un secondo momento sotto il dominio coloniale britannico che ne ha saccheggiato le risorse naturali, l’India deve ancora uscire dalla sottomissione intellettuale che l’ha segnata per lunghi periodi. Dopo la partenza dei britannici nel 1947, il governo guidato dal primo premier Jawaharlal Nehru adottò una politica estera che in linea di principio mirava a non allinearsi né con l’Occidente né con l’Unione Sovietica; tuttavia, nonostante ciò, era comunque sbilanciata verso il blocco comunista guidato dall’URSS. Durante il periodo della Guerra Fredda, la politica estera dell’India portò alla nascita del Movimento dei paesi non allineati guidato da Jawaharlal Nehru, dal presidente jugoslavo Josip Broz Tito e dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. La politica estera dell’India è ancora intrappolata in questa mentalità arcaica; a volte stringe legami con la Russia, che è stata per molto tempo il suo amico più importante nell’arena internazionale, mentre altre volte si schiera con gli Stati Uniti, ma non del tutto. Questa posizione diplomatica si riflette nella politica estera dell’India anche per quanto riguarda Israele e il Medio Oriente in generale. Nel suo voto alle Nazioni Unite l’India, pur essendo un alleato di Israele, rimane consapevole dei milioni di lavoratori indiani che si trovano nei paesi del Medio Oriente, e teme che i loro interessi possano essere danneggiati se si schierasse con Israele in modo più esplicito.
Passando dall’India al vicino Pakistan, in un suo articolo recentemente apparso sul sito del MEMRI sosteneva che migliaia di pakistani sciiti sarebbero stati reclutati dalle forze armate iraniane. Cosa ci può raccontare al riguardo?
Negli ultimi decenni, l’Iran ha reclutato regolarmente sciiti dal Pakistan nella Brigata Zainebiyoun, e dall’Afghanistan nella Brigata Fatemiyoun. Nel decennio successivo alla Rivoluzione Islamica del 1979, l’Iran ha sponsorizzato e finanziato alcuni gruppi terroristici sciiti in Pakistan che hanno portato a scontri tra sunniti e sciiti nella società pakistana. Ma sembra che tale politica sia stata limitata in anni recenti. Tuttavia, l’Iran ha fatto ricorso al reclutamento di sciiti pakistani come parte della Brigata Zainebiyoun per combattere in Siria e altrove contro gli Stati Uniti e i loro alleati. I media pakistani hanno anche riferito che quest’anno circa 50.000 pellegrini sciiti provenienti dal Pakistan, che si recavano in visita nei loro luoghi sacri in Iraq e in Iran, sono scomparsi. Ciò solleva serie preoccupazioni sul fatto che la maggior parte di essi possa essersi unita alle milizie filoiraniane in Medio Oriente. In un eventuale conflitto aperto tra Iran e Israele, è certo che queste milizie sciite adotteranno tattiche di guerriglia e combatteranno contro Israele.
Quindi queste milizie potrebbero giocare un ruolo attivo nel conflitto attuale?
Nell’immediato, un pericolo più probabile per Israele è che i soldati pakistani possano indossare l’uniforme militare turca e combattere in una guerra guidata dalla Turchia contro Israele, qualora Ankara dovesse concretizzare le sue minacce. Questo modello di cooperazione turco-pakistana è già stato testato con successo alcuni anni fa: dal settembre al novembre 2020, mentre l’attenzione del mondo era concentrata sulla lotta alla pandemia di Covid, soldati turchi e pakistani hanno aiutato le forze armate dell’Azerbaigian nella guerra del Nagorno-Karabakh contro l’Armenia, che ha perso parte del suo territorio. Mentre la minaccia verso Israele da parte dell’Iran potrebbe venire dalle milizie sciite, una minaccia molto più seria potrebbe provenire dalla Turchia.
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