Tra i soldati ucraini
Cronaca di Marta Serafini
Testata: Corriere della Sera
Data: 18/08/2024
Pagina: 1/2
Autore: Marta Serafini
Titolo: I tank, le città distrutte. «Così abbiamo sfondato»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/08/2024, a pag. 1/2, con il titolo "I tank, le città distrutte. «Così abbiamo sfondato»" la cronaca di Marta Serafini

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Marta Serafini

Militari ucraini sul fronte di Kursk. La battaglia sta risollevando il morale dell'esercito ucraino, troppo a lungo provato dalle battaglie difensive sul fronte del Donbass.

LOKNYA (confine tra Ucraina e Russia) Non è più invasione. Ora è guerra a tutti gli effetti. Parlano del loro comandante, il capo di Stato maggiore, il «macellaio di Bakhmut» che per mesi li ha mandati a morire a Est, quando era alla guida delle forze di terra e che si dice sia orgoglioso delle sue origini russe, come molti comandanti ucraini. E scherzano i soldati sul ciglio della strada mentre cercano di cambiare la gomma bucata a un blindato. «Dai, dai che a Mosca ci arriviamo lo stesso», ridono a chi offre loro aiuto come si farebbe su una qualsiasi strada in un qualsiasi giorno d’estate.

È alto l’umore sull’asfalto spappolato dai cingolati che da dieci giorni lo navigano senza sosta. C’è di tutto in movimento, in direzione Russia: i Bradley britannici, i Maxx Pro Usa, i Kozak ucraini e pure i truck Rheinmetall tedeschi che trasportano su e giù i carri armati. Tutti rigorosamente con le antenne radio attive e puntate verso il cielo, per disturbare il segnale ai russi e per non rimanere tagliati fuori. È l’offensiva che Kiev aspettava da un anno, quella tanto attesa, provata a Sud-Est lungo il Dnipro, quella subita in Donbass e a Kharkiv, quella che il veto repubblicano del Congresso Usa ha messo in ginocchio per mesi. Settimane e settimane di giovani militari ucraini seppelliti e mutilati mentre scampare la leva diventava sempre più difficile. E poi, eccola, la più vasta penetrazione militare in territorio russo dalla Seconda Guerra mondiale in poi.

Cingolati sovietici

«Mica potevamo sederci al tavolo in quelle condizioni», sussurra nella boscaglia un soldato bielorusso. È piccolo di statura. Avrà poco più di 18 anni. Al fronte, in questi giorni, ci sono gli irriducibili come lui. Ma anche le forze scelte, le brigate più preparate e gli uomini migliori. Ha le mani sporche di grasso, sta riparando la trasmissione di un cingolato di fabbricazione sovietica. «Questo è vecchiotto. Non come tutte le armi nuove arrivate a giugno. Ma va ancora come un treno». Occhi azzurri, quasi bianchi, che si illuminano nella penombra del bosco. «Non scriva il mio nome che la mia famiglia è ancora in Bielorussia e poi me li ammazzano». Ma com’è di là? Com’è Sudzha? Com’è la Russia? «Normal, normal. È normal». Tutte le volte da quasi tre anni, la stessa risposta, come se possa essere «normal» sotto le bombe, in mezzo alla morte.

Lungo la strada non è «normal». Ci sono mezzi blindati distrutti, le ambulanze fanno su e giù per portare i feriti verso Sumy. E non è «normal» mentre il Cremlino denuncia «le armi americane usate per distruggere il ponte sul fiume Seim» e mentre arriva la notizia che anche Korenevo è stata presa dagli ucraini e il Washington Post spiega al mondo che una settimana prima dell’inizio dell’offensiva su Kursk Mosca e Kiev stavano per sedersi al tavolo delle trattative a Doha. Eppure non c’è traccia di diplomazia negli occhi del soldato bielorusso. «Li abbiamo catturati, li abbiamo fatti prigionieri. Alcuni erano bambini. Ma lo scriva. Li abbiamo trattati bene. Non siamo come loro». Cosa vuol dire trattati bene? «Che non li abbiamo ammazzati. Mentre i russi hanno pubblicato il video con la testa di uno dei nostri tagliata e impalata proprio mentre entravamo in Russia per spaventarci. Ma noi non abbiamo paura perché andiamo a difenderci. E ora che abbiamo le armi lo possiamo fare per davvero».

Rischio bombe plananti

Via radio, dal posto di blocco avvertono in codice: «Quaglie al riparo, c’è pericolo». I russi sganciano continuamente sul confine. «Ora hanno fatto scorta di bombe plananti, sono micidiali, dovete stare attenti». Le colonne di fumo si alzano sopra i campi di girasoli che si stiracchiano al caldo. Entriamo più in profondità nella boscaglia. I boati sono lontani, i cingolati continuano ad andare su e giù. Nessuno si ferma. L’offensiva su Kursk deve continuare. «Io sto aspettando che mi diano l’ordine di ripartire, spero presto. Appena ho riparato il mezzo», continua il bielorusso. Difficile dire se davvero andrà avanti. Lo «zar» ancora non ha dato una risposta militare. E non ha nemmeno abbassato la pressione su Pokrovsk e sul Donbass. «Se mi dicessero che domani ci dobbiamo fermare, che c’è la pace a me va bene. Però, questo lo scriva, la pace deve essere giusta. Non in ginocchio da un dittatore, solo per la paura di perdere altri uomini».

Il lago della speranza

Poco più indietro, verso Sumy, una vecchia chiesa ortodossa con il tetto in riparazione si staglia tra gli alberi. L’ultimo villaggio prima della frontiera è in parte distrutto, le fattorie sono vuote, in giro ci sono solo militari che hanno preso il controllo completo della zona, scuole ed edifici pubblici soprattutto. Anche un piccolo ristorante di campagna è stato polverizzato qualche giorno fa perché ci andavano i soldati a mangiare. E ora sul piazzale si sente solo odore di morte e gomma bruciata, lo stesso maledetto odore da due anni e mezzo. «È stata proclamata un’evacuazione forzata della zona e a nessuno è consentito l’accesso in una fascia di 20 chilometri», spiegano ancora al posto di blocco. Le operazioni per mettere in salvo i civili sono praticamente finite. Lo confermano anche i volontari a Sumy, dove alle sei di mattina un ordigno ha colpito un parcheggio di un supermercato facendo sei feriti. Sumy, la città delle cento chiese ortodosse fondata dal colonnello cosacco Herasim Kondratiev. Sumy, che dal febbraio 2022 è stata massacrata di bombe e dal cui confine sono passati i commando ucraini entrati in Russia per provare a uccidere i propagandisti russi come Dugin.

Al posto di blocco è l’ora del cambio. I due soldati semplici Bogdan e Artyom sorridono. «Abbiamo qualche ora di pausa, finalmente». Si avviano verso il lago. «Ce lo siamo meritati questo bagno. E chissà se è davvero l’utima estate di guerra e l’anno prossimo si può pure tornare a pescare».

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