“La Corte Penale Internazionale non è in grado di garantire un giusto processo”. Lo affermava nel 2013 il suo attuale Procuratore capo
Analisi di Yigal Carmon
Testata: israele.net
Data: 14/08/2024
Pagina: 1
Autore: Yigal Carmon
Titolo: “La Corte Penale Internazionale non è in grado di garantire un giusto processo”. Lo affermava nel 2013 il suo attuale Procuratore capo

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Yigal Carmon tradotta da memri.org dal titolo "La Corte Penale Internazionale non è in grado di garantire un giusto processo". Lo affermava nel 2013 il suo attuale Procuratore capo".

Yigal Carmon
Washington: la decisione del procuratore dell'Aja è “vergognosa” e  danneggia gli sforzi negoziali - Israele.net - Israele.net
Scriveva Karim Khan: “Gruppi della società civile ben finanziati, organizzazioni non governative e media internazionali promuovono una narrazione che viene accettata come ‘verità’ ancor prima che l’imputato compaia in tribunale”. Ed è lo stesso procuratore capo della Corte Penale Internazionale Karim Khan (al centro) che ha annunciato la richiesta di mandati d’arresto a carico del primo ministro Netanyahu e del ministro della difesa d’Israele Gallant. Questo richiamo storico dovrebbe indurre a denunciare la Corte Penale Internazionale. Mentre invece: tutti zitti, nessuno che denunci. Meno male che, grazie a Yigal Carmon, lo sappiamo, ma rimanere con le mani in mano in questa situazione vuol dire farsi prendere in giro. Chi sarà il primo a chiedere la chiusura di questa Corte? Un simile tribunale va chiuso.

Lo scorso 20 maggio, il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, ha annunciato che chiederà mandati d’arresto per crimini di guerra a carico di alcuni leader israeliani (e di Hamas). Ma in un saggio del 2013, lo stesso Karim Khan metteva sotto accusa la legittimità di quella stessa Corte Penale Internazionale per conto della quale oggi persegue l’incriminazione del primo ministro e del ministro della difesa d’Israele. Nel saggio accademico di 43 pagine intitolato Pratiche difensive. Rappresentare i clienti di fronte alla Corte Penale Internazionale, pubblicato nel 2013, l’attuale procuratore della Corte Penale spiegava in dettaglio come le procedure della Corte Penale ostacolino la possibilità di garantire agli imputati il diritto a un giusto processo. All’epoca, Karim Khan era un avvocato britannico che aveva prestato servizio sia per la difesa che per l’accusa presso diverse corti internazionali. Secondo Khan, nelle cause portate alla Corte Penale Internazionale accade che indagati e imputati siano privati di diritti fondamentali dell’imputato per via delle procedure della Corte. Scriveva che nei casi da lui stesso rappresentati, agli imputati non è stata concessa la conoscenza delle accuse entro un lasso di tempo ragionevole, rendendo vana la loro possibilità di condurre correttamente la propria difesa. In altri casi, prove fondamentali che potevano contribuire alla difesa sono state pesantemente ridotte da omissis, rendendole inutilizzabili da parte dell’imputato. Nel saggio Khan spiegava inoltre che la Corte Penale Internazionale è incline a pregiudizi a causa della pressione esterna delle ong e della società civile, che dettano la versione che viene poi accettata come “verità” dal tribunale ancor prima che l’imputato abbia la possibilità di presentare il proprio caso. Queste pratiche scorrette, affermava Khan, hanno macchiato la reputazione di persone oneste. Ecco alcuni brani del saggio, di cui Khan era coautore con Anand A. Shah.

Sull’effetto della copertura mediatica e del sentimento popolare: “Nel caso di un cliente sospettato o accusato d’aver commesso crimini internazionali, la percezione pubblica della colpevolezza del cliente è spesso ulteriormente amplificata dall’assistenza di gruppi della società civile ben finanziati, organizzazioni non governative e media internazionali che promuovono una narrazione che viene accettata come verità ancor prima che il cliente compaia in tribunale”.

Sul livello di professionalità della Corte Penale Internazionale nel dibattimento e nelle indagini penali: “All’inizio, non è troppo duro caratterizzare la Corte Penale Internazionale come un think tank di un tribunale sconnesso o inesperto delle realtà delle indagini penali e del dibattimento in aula, almeno dal punto di vista della difesa”.

Su testimonianza e credibilità dei testimoni: “[Le procedure della Corte Penale Internazionale] consentono al pubblico ministero di presentare e fare affidamento su riassunti anonimi di prove testimoniali che possono essere significativamente carenti in termini di sostanza, coerenza o entrambe”.

Sull’onere della prova: “Lo standard di prova applicabile nella fase di conferma – ‘prove sufficienti per stabilire motivi sostanziali per credere’ – è ovviamente inferiore allo standard oltre ogni ragionevole dubbio richiesto per ottenere una condanna nella fase del processo”.

Su false accuse che hanno causato ingiustizia: “Di conseguenza, le accuse contro almeno un individuo comparso come indagato dinanzi alla Corte Penale Internazionale molto probabilmente sono state erroneamente confermate per il processo, con conseguente stress e angoscia per l’individuo e la sua famiglia, danni alla sua reputazione e un inutile dispendio di tempo e risorse per la Corte, per l’accusa e per la difesa non coperta da assistenza legale. Questa ingiustizia è stata sanata solo l’11 marzo 2013, più di un anno dopo l’emissione della decisione di conferma della causa”. Su comunicazione tardiva e diritti dell’imputato: “L’articolo 67(1)(b) dello Statuto di Roma garantisce a un indagato o imputato tempo e mezzi adeguati per preparare la propria difesa. L’articolo 67(1)(a) prevede che un indagato o imputato debba essere ‘informato tempestivamente e in dettaglio su natura, causa e contenuto dell’accusa’ a suo carico. Purtroppo, la prassi sviluppata presso la Corte Penale Internazionale in merito alle modalità e ai tempi di comunicazione dell’accusa alla difesa nelle fasi di conferma e dibattimento ha compromesso questi diritti fondamentali”. “La divulgazione tardiva dell’azione penale è solo uno degli aspetti di un regime di comunicazione problematico della Corte Penale Internazionale”. “La divulgazione ritardata limita il tempo a disposizione della difesa per esaminare e agire sul materiale ricevuto. Quando informazioni cruciali per la difesa restano limitate da omissis, come l’identità di un testimone o l’ora e il luogo di un presunto incontro, non ci si può aspettare che la difesa possa condurre indagini complete ed efficaci su questa base”.

Su regime di redazione ed errori giudiziari: “C’è anche un pericolo più fondamentale, con quello che è diventato un regime di imposizione di redazione presso la Corte Penale Internazionale, vale a dire che il processo di richiesta, revisione giudiziaria e imposizione di redazione è diventato così poco gestibile e controllabile che possono verificarsi veri e propri errori giudiziari”. “L’atteggiamento riflesso, se non sprezzante, sopra menzionato nei confronti della redazione da parte dell’accusa presso la Corte Penale Internazionale e l’ampia portata e imposizione di redazione, al di là dei semplici testimoni e delle loro famiglie, hanno portato a un regime di redazione burocratico, troppo ampio e che prosciuga le risorse. Nel peggiore dei casi un tale regime rischia di provocare un errore giudiziario fondamentale, in ogni caso ostacola notevolmente il lavoro della difesa”. (Da: memri.org, 23.5.24)

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