Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/08/2024, a pag. 2, il commento di Giulio Meotti dal titolo: “Israele protegge l’arte nei bunker anti missili, l’Iran la vieta al pubblico”.
Giulio Meotti
I manoscritti della biblioteca di Mosul sono stati bruciati dall’Isis. Al Cairo è andato in fumo l’Istituto d’Egitto, lascito della spedizione napoleonica durante la primavera araba. La grande biblioteca al Sa’eh di Tripoli, in Libano, è stata data alle fiamme dagli islamisti. In Mali, i manoscritti di Timbuctu sono stati bruciati dalla furia iconoclasta. A minacciare i manoscritti di Israele sono i missili iraniani, così ora i musei dello stato ebraico devono portare nei bunker i loro tesori più preziosi, come i rotoli del Mar Morto.
Capolavori come “San Pietro in prigione” di Rembrandt del 1631, donato al Museo di Gerusalemme da Judy e Michael Steinhardt nel 2001. E poi la famosa scultura “Nimrod” di Yitzhak Danziger, creata nel 1939, pietra miliare dell’arte israeliana, e dipinti di Vincent van Gogh e Paul Gauguin. Allo stesso modo, il Museo d’Arte di Tel Aviv ha adottato misure per proteggere la sua inestimabile collezione. Opere di artisti come Pablo Picasso, Jackson Pollock e Joan Miró. La mostra sull’impressionismo, con capolavori di Edgar Degas e Camille Pissarro, rimane esposta in un’area sicura. L’unica altra volta in cui il museo di Tel Aviv si è precipitato a salvare le sue opere fu durante la Guerra del Golfo del 1991, quando i missili Scud iracheni colpirono la città costiera. Il “Ritratto di Friederike Maria Beer” di Gustav Klimt, dipinto due anni prima della sua morte, è ora conservato su uno scaffale in un bunker sotterraneo fortificato insieme ad altre opere.
I rotoli del Mar Morto sono sempre esposti con cautela, pochi alla volta, protetti da vetri antiproiettile. Le condizioni di luce, temperatura e umidità sono perfettamente controllate all’interno delle vetrine, come si addice alla pergamena biblica di 2.200 anni fa e l’unico manoscritto biblico mai scoperto. Solo cinque funzionari del museo hanno accesso alle chiavi della camera blindata. Ora è vicino a un antico sigillo cilindrico mesopotamico appartenente alla regina Puabi, scoperto nel cimitero del sito archeologico di Ur, nell’attuale Iraq e risalente al 2.600 a.C.
Tra i dipinti che non scendono nei bunker ce ne è uno che non vale sul mercato mondiale dell’arte, ma dal valore molto simbolico. Il dipinto “Curving Road” di Ziva Jelin, sopravvissuto agli attacchi di Hamas del 7 ottobre nel kibbutz Be’eri. Porta i segni delle schegge delle bombe lanciate dai terroristi nelle case.
Tra i dipinti invece messi in salvo a Gerusalemme c’è “Il castello dei Pirenei”, capolavoro del surrealista belga René Magritte. Intanto un altro Magritte resta chiuso sotto chiave in Iran, non perché minacciato, ma per un altro motivo. Andy Warhol, Pablo Picasso, ma anche Francis Bacon, Pollock, Degas e tanti altri. La collezione più ricca al mondo di arte moderna e contemporanea fuori dall’occidente è custodita in uno scantinato e non è visibile al pubblico. Siamo al Museo di Arte contemporanea di Teheran, voluta dai Pahlevi, prima che Khomeini prendesse il potere e decidesse che era “arte blasfema”. Le tele dei depositi solo occasionalmente e per brevi periodi esposte all’estero. Come il trittico di Francis Bacon “Two figures lying on a bed with attendants” alla Tate Gallery. O un Max Ernst alle Scuderie del Quirinale. Ma non solo arte. Israele, il paese del “popolo del Libro”, è minacciato di distruzione da un regime che, come scrive “Censorship: A World Encyclopedia” a cura di Derek Jones, “dal 1979 ha distrutto cinque milioni di libri”. Libri sgraditi alla Rivoluzione islamica.
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