L’eliminazione di Haniyeh è stato un bel colpo di Israele
Commento di Antonio Donno
Ismail Haniyeh era un uomo colto, in qualche modo raffinato. Elegantemente vestito, camicia bianca senza cravatta (come si usa oggi), scarpe all’ultima moda, barba e capelli perfettamente curati, gentile, spesso sorridente, sempre pronto a discutere in maniera moderata e accattivante. Ma l’apparenza inganna: Haniyeh era il capo politico dell’organizzazione terroristica Hamas, autrice di numerosi atti di sangue contro Israele, tra i quali il più famoso è stato quello del 7 ottobre 2023, in cui sono stati massacrati 1200 ebrei che vivevano nei kibbutz ai confini della Striscia di Gaza. Si è trattato di uno sterminio terribile di uomini, donne e bambini di Israele, attuato in modo esecrabile. Ismail Haniyeh è stato l’organizzatore, insieme ad altri terroristi di Hamas, dell’orrendo eccidio. Naturalmente non ha sporcato di sangue le sue mani ben curate, use a stringere le mani altrui in incontri di alto livello, come nell’ultimo atto della sua vita, quando ha partecipato all’insediamento del nuovo presidente iraniano Massoud Pezeshkian. Proprio in tale occasione di grande profilo politico Haniyeh è stato eliminato da Israele in un modo ancora non chiaro, ma assai efficace.
Con la morte di Haniyeh, Hamas ha perso un uomo politico la cui presenza nella scena internazionale aveva fino a quel momento garantito che l’organizzazione terroristica, di cui era l’esponente politico più alto, potesse presentarsi in modo politicamente decoroso presso la diplomazia internazionale, fornendo interpretazioni convincenti della lotta araba contro il “male oscuro” rappresentato dagli ebrei. Tanto è vero che, alla sua morte, si è levato, nelle pagine di molti giornali di ogni parte del mondo, un coro di disappunto, se non proprio di profonda disapprovazione. In fondo – questa era la motivazione del disappunto – Haniyeh era un uomo moderato, positivo, non appariva neppure l’esponente politico a livello internazionale di una formazione terroristica che compiva atti sanguinari, che egli – è il caso di dirlo con forza – approvava indiscutibilmente, anche perché ne era l’organizzatore politico di totale fiducia per il gruppo dirigente di Hamas. Il “moderato” Haniyeh – ma un terrorista può mai essere moderato? – era l’alter ego diplomatico di Hamas, la sua rappresentazione pubblica, il personaggio accattivante della realtà del terrorismo, colui che ha fatto “indignare” i benpensanti occidentali filopalestinesi, sempre pronti a lasciarsi ingannare dalle apparenze.
Il coro di disapprovazione ha coperto un sottofondo di grande ipocrisia, in ragione del fatto che l’eliminazione di Haniyeh è avvenuta nel contesto della guerra di Gaza, che vede impegnato Israele e che molti governi di ogni parte del mondo criticano in modo puntiglioso, compresi gli Stati Uniti di Biden. La ragione della critica che si muove a Israele è legata alla reazione di Gerusalemme dopo l’eccidio del 7 ottobre. Soprattutto i Paesi dell’Occidente temono che l’intervento di Israele a Gaza possa aprire uno scenario bellico ben più vasto, nel quale possa agire l’Iran con il sostegno di Russia e Cina. Questo timore si rovescia sull’agire di Israele, il quale deve difendersi dai suoi nemici proprio in un momento molto delicato del Medio Oriente. Per fortuna, i Paesi arabi sunniti che hanno aderito agli “Accordi di Abramo” con Israele non hanno alcun interesse a immischiarsi sia nella guerra di Gaza, sia nel contenzioso ormai militare tra Israele e Iran.
Ben consapevole di quest’ultima, favorevole situazione che Netanyahu ha costruito con grande acume politico negli anni recenti, il premier israeliano ha agito contro Teheran per mettere in grave difficoltà il regime degli ayatollah, convinto che una rappresaglia iraniana contro Israele coinvolgerebbe gli Stati Uniti, come lo stesso Biden ha affermato. Lo stallo della situazione, dopo l’eliminazione di Haniyeh, starebbe a indicare che l’Iran non intende accelerare lo scontro, anche perché sia la Russia, sia la Cina lo hanno invitato alla massima prudenza. Peraltro, il fallito attacco dell’Iran a Israele del 14 aprile scorso ha evidenziato la debolezza militare di Teheran, un’umiliazione che ha messo sull’avviso il regime iraniano, che è ben consapevole dell’opposizione politica che si sta sviluppando nel Paese ogni giorno di più.
Al posto di Haniyeh è oggi Yahya Sinwar, un terrorista vero e proprio che ha vissuto nelle caverne comandando le azioni sanguinarie di Hamas. È difficile dire come potrà cavarsela Sinwar sul piano politico-diplomatico ricoperto finora da Haniyeh. Le apparenze e i comportamenti zotici del tipo parlano da soli.
Antonio Donno