Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'editoriale, tradotto dal Jerusalem Post, dal titolo "L’eliminazione di un capo terrorista come Haniyeh è un passo necessario nella lotta globale al terrorismo"
L’uccisione mirata del capo di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran (attribuita a Israele) ha provocato un’ondata di condanne internazionali, con numerosi leader e organizzazioni mondiali che hanno denunciato l’atto come una pericolosa escalation. Queste reazioni non colgono il significato di una tale operazione nel contesto più ampio della sicurezza globale e della guerra in corso al terrorismo. Invece di criticare Israele, il mondo occidentale dovrebbe lodare questa mossa decisiva, che rafforza l’impegno nella lotta al terrorismo. Haniyeh, per più di sette anni il capo più in vista di Hamas, un’organizzazione riconosciuta come terrorista praticamente da tutto l’Occidente, aveva alle spalle una lunga storia di orchestrazione della violenza e del terrorismo contro civili. Sotto la sua guida, Hamas ha realizzato innumerevoli attentati che hanno causato la morte di migliaia di persone innocenti. Il suo regime a Gaza è stato sempre caratterizzato da una militarizzazione aggressiva, dal lancio di razzi sul territorio israeliano e dalla brutale repressione degli oppositori politici nei territori palestinesi. L’alleanza di Haniyeh con l’Iran ha ulteriormente esacerbato le tensioni regionali, fornendo a Hamas le risorse e il supporto necessari per sostenere le sue attività terroristiche. Personalmente designato come terrorista da più paesi, tra cui Stati Uniti, Israele, Canada e Unione Europea, il curriculum di Haniyeh parla da sé. Il suo coinvolgimento nell’organizzazione di numerosi atti di terrorismo, tra cui attentati suicidi, attacchi missilistici e sommosse violente, ha lasciato dietro di sé una scia di dolore, morte e distruzione. Il Dipartimento di stato americano ha specificamente sottolineato il suo ruolo nella destabilizzazione della regione e nel contribuire a un clima di paura e violenza. Sotto la guida di Haniyeh, Hamas ha lanciato migliaia di razzi sul territorio israeliano prendendo di mira la popolazione civile: attacchi indiscriminati che hanno causato vittime e gravi danni. Tanto per fare un esempio, durante l’operazione anti-terrorismo Margine Protettivo dell’estate 2014, vennero lanciati da Gaza verso Israele più di 4.500 razzi. Hamas ha anche una lunga storia di attentati suicidi volti a colpire i civili israeliani. Uno degli attacchi più noti avvenne nel marzo 2004, quando un doppio attentato suicida al porto di Ashdod uccise 10 israeliani e ne ferì decine. Haniyeh aveva personalmente pianificato e approvato queste tattiche. Haniyeh ha svolto un ruolo cruciale nell’orchestrare la cosiddetta Grande Marcia del Ritorno del 2018, che vide decine di migliaia di abitanti di Gaza lanciarsi ripetutamente verso il confine con Israele cercando di fare breccia nella barriera difensiva (vero prodromo di quanto sarebbe poi accaduto il 7 ottobre 2023 ndr). Sebbene fatti passare per proteste “pacifiche”, quegli eventi diventarono rapidamente violenti, con partecipanti armati che attaccavano soldati e civili israeliani, causando morti e feriti. Hamas, sotto la guida di Haniyeh, si rese responsabile del rapimento di soldati israeliani. Il caso più notevole fu il sequestro di Gilad Shalit nel 2006, tenuto in ostaggio per oltre cinque anni prima di essere rilasciato in cambio della scarcerazione di più di mille terroristi palestinesi detenuti in Israele: fra gli scarcerati grazie a quel ricatto c’era Yahya Sinwar, ora comandante militare di Hamas a Gaza. Diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Egitto e Qatar, hanno espresso preoccupazione per il fatto che l’uccisione di Haniyeh possa compromettere le trattative in corso su una tregua e inasprire le tensioni regionali. Queste reazioni, tuttavia, ignorano le implicazioni più ampie che comporta consentire a un capo terrorista di agire impunemente. È essenziale riconoscere che le azioni di Israele non sono atti di aggressione, ma di autodifesa. L’eliminazione di Haniyeh invia un messaggio forte alle organizzazioni terroristiche in tutto il mondo: i loro capi non sono irraggiungibili. Questa azione dimostra l’alto livello delle capacità di intelligence di Israele e il suo incrollabile impegno nel neutralizzare le minacce alla sua sicurezza nazionale e alla sicurezza dei suoi cittadini. La comunità internazionale deve considerare attentamente chi si schiera dalla parte di individui come Haniyeh: coloro che lo vedono come un amico o un alleato sono, di fatto, complici del terrorismo. I critici insistono che l’uccisione di Haniyeh potrebbe far deragliare i colloqui e provocare ulteriore violenza. Se è vero che qualsiasi significativa azione militare può avere ripercussioni immediate, i vantaggi a medio e lungo termine della rimozione di una cruciale figura negativa come Haniyeh superano gli svantaggi di un’instabilità temporanea. La morte di Haniyeh spezza la struttura di comando di Hamas e ne diminuisce le capacità operative, indebolendo così la capacità dell’organizzazione di continuare a combattere e realizzare futuri attacchi. Inoltre, questa uccisione è in linea con il più ampio sforzo globale per combattere il terrorismo. L’Occidente, in particolare nazioni come gli Stati Uniti che sono state vittime del terrorismo, dovrebbero capire la necessità di tali operazioni. La lotta contro il terrorismo richiede un fronte unito e la determinazione ad adottare misure decisive contro coloro che perpetuano la violenza e il caos. L’uccisione mirata di Ismail Haniyeh attribuita a Israele non deve essere vista come un atto provocatorio, ma come un passo necessario nella lotta contro il terrorismo. (Da: Jerusalem Post, 4.8.24)
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