Mille soldati italiani 'ostaggi' di Hezbollah
Analisi di Fausto Carioti
Testata: Libero
Data: 05/08/2024
Pagina: 1/3
Autore: Fausto Carioti
Titolo: Mille soldati italiani 'ostaggi' di Hezbollah

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/08/2024, a pag. 1/3 l'analisi di Fausto Carioti dal titolo “Mille soldati italiani 'ostaggi' di Hezbollah”


Fausto Carioti

I militari italiani impegnati nella missione Unifil 2 nel sud del Libano dal 2006 sono paraticamente in ostaggio di Hezbollah. Che non ha mai rispettato le risoluzioni dell'Onu, si è riarmato ed è pronto a un'altra guerra contro Israele.

Ci sono 1.043 soldati italiani in Libano, nella “zona cuscinetto” al confine settentrionale di Israele, che indossano i caschi blu dell’Onu nella missione di interposizione Unifil. È una linea che potrebbe incendiarsi già oggi, se l’attacco di missili e droni promesso dall’Iran per vendicare l’assassinio del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e del comandante di Hezbollah Ali Abd Ali, fosse lanciato in queste ore da tutto l’“asse della resistenza” che fa capo al regime degli ayatollah. Un’alleanza che comprende, oltre all’Iran e ad Hezbollah in Libano, gli Huthi dello Yemen, le milizie sciite irachene e siriane, Hamas e la Jihad palestinese. Proprio la convinzione che la situazione sia sul punto di precipitare ha spinto i Paesi non coinvolti nel conflitto a richiamare i loro connazionali civili in Libano.
L’Italia lo ha fatto di nuovo ieri tramite il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «Visto l’aggravarsi della situazione, invitiamo gli italiani che soggiornano temporaneamente in Libano a non recarsi assolutamente nel Sud del Paese e a rientrare in Italia con voli commerciali il più presto possibile». Perla stessa ragione il vicepremier ha chiesto ai turisti italiani di non andare in vacanza in Libano. Avvisi analoghi sono stati diffusi dai governi francese, spagnolo e saudita, sulla scia di quanto già fatto a Londra e Washington.
Sono circa tremila, secondo la Farnesina, i nostri connazionali in Libano, molti dei quali col doppio passaporto, e per loro il ministero degli Esteri e quello della Difesa hanno predisposto i piani di evacuazione. Due navi della Marina militare sono già pronte per l’operazione, qualora scattasse l’emergenza e non ci fossero voli commerciali disponibili. E un’altra nave potrebbe raggiungere le coste libanesi in breve tempo.
Non si muoveranno, almeno per ora, gli oltre diecimila soldati di Unifil. «La situazione è preoccupante, ma la missione rimane e le attività non sono cambiate», fanno sapere i portavoce dei nostri militari in Libano. Dopo quello indonesiano, il contingente italiano, appena tornato sotto il comando della Brigata Sassari, è il più numeroso. Ad esso vanno aggiunti i 105 uomini della missione bilaterale italo-libanese Mibil, che più a nord, a Beirut, si occupano di addestrare le forze di sicurezza locali. Prevedendo il deterioramento della sicurezza in quell’area, Giorgia Meloni si era recata in Libano a fine marzo per testimoniare la vicinanza del governo ai nostri connazionali impegnati nelle due missioni.

TENTATIVO IN EXTREMIS

Si muove la diplomazia, che in extremis cerca di evitare che alla «guerra mondiale a pezzi», come l’ha chiamata papa Francesco, si aggiunga un altro tassello. Il G7 è sotto la presidenza italiana e ieri Tajani ha convocato d’urgenza e presieduto una riunione in videoconferenza con i suoi colleghi di Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha aggiornato gli altri sulla situazione e i sette si sono impegnati a mantenere un coordinamento stretto. Al termine, Tajani ha ammesso che c’è «forte preoccupazione» per quanto potrebbe accadere nelle prossime ore in Medio Oriente, a partire dal Libano.
Dalla riunione, ha raccontato poi il ministro italiano, è partita la richiesta all’Iran e a tutte le parti interessate «a desistere da qualsiasi iniziativa che possa ostacolare il percorso del dialogo e della moderazione e favorire una nuova escalation». Realisticamente, nessuno s’illude che l’Iran non reagisca: la speranza è che si tratti di una reazione in qualche modo misurata, che non inneschi una reazione ancora più violenta da parte di Israele e porti lo scenario fuori controllo.
Lo strumento con cui il G7 spera di raffreddare la situazione è sempre il “Piano Biden” per Gaza, che prevede un primo scambio di prigionieri tra Hamas e Israele, da farsi durante un cessate il fuoco di sei settimane; quindi la fine permanente delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi e la ricostruzione della Striscia con la partecipazione dei Paesi arabi e della comunità internazionale. I sette ministri sono tornati a insistere su questo percorso e hanno confermato l’impegno ad aumentare l’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese e il rispetto della risoluzione 1701 adottata nel 2006 dal Consiglio di sicurezza, con cui furono definiti i compiti e l’organico di Unifil.
Anche se ogni Stato può richiamare il proprio contingente quando vuole, al momento la volontà comune è quella di lasciare in Libano la missione militare Onu, che essendo forza d’interposizione non potrà comunque partecipare al conflitto (Israele e i suoi amici vorrebbero vederla impiegata contro Hezbollah, ma il mandato del Palazzo di vetro lo impedisce). Diversa, e più semplice, la situazione dei cento addestratori della missione Mibil: se il Libano si infiammerà, è probabile che il governo di Roma li riporti in patria.

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