Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/08/2024, a pag. 1/3, con il titolo "L’attesa della vendetta iraniana mostra la retorica inaffidabile e subdola di chi nega l’evidenza quando si parla dei regimi guidati da boia fanatici" l'editoriale di Giuliano Ferrara.
Giuliano Ferrara
Il senso della realtà in Occidente tende a nascondersi dietro al senso comune umanitario e giurisdizionale e ne approfitta per scomparire. Formule come rappresaglia, omicidio mirato, invasione dello spazio sovrano, diritto di autodifesa per il regime iraniano ai sensi dell’articolo 51 della carta dell’Onu (Guterrez) accompagnano l’attesa di un ennesimo atto di guerra dei mullah e dei loro alleati di molti fronti contro un paese democratico che lotta per sopravvivere. I razzi di Hamas o di Hezbollah non colpiscono uno stato sovrano, un popolo costretto a lasciare le sue città, non sono trattati altro che come atti di resistenza arabo-palestinese, e la prospettiva di una reazione coordinata e multipla dell’Iran ai colpi del Mossad, sostenuta da un asse russocinese, è considerata un problema geopolitico. Tutto è inquadrato da esperti e autorità sotto la lente della dialettica tra escalation e de-escalation, si fa la conta delle scaramucce e delle impertinenze belliche in modo infantile e primitivo, come nel gioco della battaglia navale. E l’uomo nero non è mai l’Ayatollah Khamenei, con la sua vasta banda di sicari, è sempre Netanyahu, il premier israeliano che vuole prolungare la guerra e se ne infischia della sorte degli ostaggi, fino al punto che ormai sembrano suoi ostaggi e non persone sequestrate da Hamas, per restare al potere (bum!).
Non può essere una questione di valori. Lo scambio tra i dissidenti e gli scrittori occidentali e i killer del Cremlino ha offerto a tutti una tavolozza di colori molto vivida per giudicare della differenza che ritorna tra mondo libero e mondo autocratico. Le immagini di Israele diviso politicamente e democraticamente ma unito per l’essenziale nella ricerca di una soluzione strategica di convivenza attraverso la diplomazia di pace e cooperazione araba e la necessaria opera di sradicamento di organizzazioni violente e regimi nichilisti che perseguono l’annientamento dell’entità sionista sono chiarissime, impossibile non vederle, specie a contrasto con lo spirito di vendetta e di oltranzismo antiebraico coltivato cerimonialmente con grande pompa da bande e regimi nemici. E allora, di che cosa si tratta? Perché dopo la strage degli atleti israeliani a Monaco la caccia per ogni dove e in ogni modalità di ritorsione e guerra agli assassini ha goduto di un favore epico in occidente, fino ai fasti di Spielberg e di Hollywood, e oggi invece pesa sulle eliminazioni del nemico peggiore e più nero il sospetto del fanatismo e della violazione del diritto sugli stessi che fecero giustizia allora e vogliono giustizia oggi? Perché cadendo a Entebbe il fratello di Netanyahu fu eroe e i suoi emuli di oggi sono trattati come pericolosi fautori dell’escalation?
Il senso della realtà, si diceva, è finito chissà dove. Era più facile riconoscere la verità della guerra quando si trattava di carri armati tra le dune, di territori contesi sulle alture strategiche, di generali e politici che tenevano alta la memoria di un popolo martoriato nella Shoah e deciso al suo “mai più”, magari con la benda su un occhio.
Israele era il popolo di Exodus, si sentivano fraterni i dialetti e le inflessioni linguistiche degli immigrati e costruttori di una nazione rifugio, di uno stato-guarnigione pionieristico, con parlamento e alta corte e sviluppo a marce forzate e libertarismi sociali nella trama dei diritti, e il rifiuto arabo era quello che era, era il rigetto della pace, della sistemazione duratura dell’area mediorientale, della legittimità di una nazione per gli ebrei e degli ebrei. Ora la tecnologia e la disparità di potere di fuoco, e di mira, di Tsahal sono percepite come il simbolo di un’ingiustizia ai danni dei poveri, dei vulnerabili, degli innocenti, che hanno diritto a una riparazione dei tribunali e dell’opinione benpensante. Ora la realtà della guerra, mai così evidente, mai così dispiegata, altro che guerra a pezzi, altro che escalation e deescalation, è seppellita sotto una retorica inaffidabile subdola, che nega l’evidenza. Per questo aspettiamo come un evento geopolitico inevitabile la vendetta dei cattivi, pronti molti a tifare per loro, e, se non fosse per la presenza di un certo numero di portaerei americane nel Mar Rosso e nel Mediterraneo, saremmo, almeno noi europei, pronti ad assistere allo sfacelo di Israele e al tragico macello delle sue speranze e resistenze per mano di regimi guidati da boia fanatici.
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