Riprendiamo da LIBERO di oggi, 02/08/2024, a pag. 15, con il titolo "Avvenire spara contro Netanyahu: Un atto di terrorismo internazionale", l'analisi di Amedeo Ardenza.
Ai rabbini israeliani, non tutti, piace ancora. D’altronde, anche se si è fatto pizzicare davanti a piatti di cibo non kasher, ha sempre formato i suoi governi includendo i partiti religiosi. Nel mondo islamico il prenier israeliano Benjamin Netanyahu è meno popolare. L’imam medio vedrà in lui un leader ebreo nazionalista, un sionista convinto che antepone (o almeno così avrebbe dovuto fare) la sicurezza di Israele a ogni altra questione. Per gli ayatollah di Teheran e dintorni, poi, Bibi è puro fumo negli occhi, ma nella Repubblica islamica d’Iran l’ossessione anti-israeliana non fa testo.
In Italia i giornali di sinistra lo detestano, vedendo in lui una specie di Berlusconi, ma anche guerrafondaio, e parimenti ostinato nel raccogliere consensi presso il popolo bue. Resta da capire perché contro il sei volte premier d’Israele, paese democratico che vota con un sistema elettorale che più propozionale non si può, ce l’abbiamo tanto anche all’Avvenire così come pure a Famiglia Cristiana. Lo scorso 14 aprile, nelle ore in cui l’Iran bombardava Israele con ogni mezzo ma lo stato ebraico si salvava facendo ricorso alla propria tecnologia, all’aiuto degli Usa e anche a quello dei vicini arabi moderati, il settimanale delle edizoni San Paolo condannava senza appello il capo del Likud «come il leader che ha inflitto il maggior danno al suo popolo da quando i re Asmonei, in lotta fra loro portarono la guerra civile e l’occupazione romana in Giudea quasi 21 secoli fa». Anche quella è colpa degli ebrei.
Lo stesso giorno il giornale dei vescovi stigmatizzava «lo schiaffo umiliante dato al regime iraniano» con una secca condanna del bombardamento israeliano di una palazzina attigua al consolato iraniano a Damasco. Nell’analisi successiva si profetizzava una risposta molto posticipata nel tempo da parte dei pasdaran – l’Iran reagì l’indomani – spiegando anche che la reazione iraniana avrebbe obbligato gli Usa a rispondere, cosa che non successe. Il giorno dopo l’attacco, il 16 aprile, Avvenire spiegava che l’attesa reazione israeliana al massiccio attacco iraniano «avrà l’effetto di alzare ancora la tensione». Quando impareranno questi ebrei a porgere l’altra guancia?
Adesso dimentichiamo la strategia iraniana di supporto attivo e armamento delle peggiore canaglie mediorientali (Hezbollah, Hamas e Huthi solo per nominarne tre) e passiamo alla lettura del giornale dei vescovi del 1 agosto, il giorno dopo l’omicidio mirato del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran. Come apre l’editoriale di Avvenire?
«Israele vuole la guerra, quindi». E se non tutta la popolazione «di certo (la vuole) Bibi Netanyahu e il suo governo di nazionalisti estremisti e avventuristi». Personaggi impresentabili, aggiungiamo noi, che Bibi usa per governare ma che per carità ebraica tiene lontano da ogni centro decisionale degno di questo nome. Un esempio? Al ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, non è mai stato permesso di entrare nel gabinetto di guerra.
Nulla da fare: «L’assassinio a Teheran del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, non ha giustificazioni di sorta». Avvenire critica il governo israeliano per «la strage infinita di decine di migliaia di donne, uomini e bambini palestinesi inermi a Gaza», ma bastona Gerusalemme anche quando ammazza il numero uno dei suoi nemici, un piccolo Hitler da albergo a sei stelle. Ucciderlo «è stato un atto di terrorismo internazionale». Tanto più che Haniyeh a Teheran «si era recato per assistere alla presa di servizio del nuovo presidente, il moderato riformista Massoud Pezeshkian». Uno così moderato che ha prestato giuramento davanti al Parlamento che all’unisono cantava “Morte all’America! Morte a Israele!”. Ma Bibi è molto peggio.
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