Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Jeff Rubin tradotta da Times of Israel dal titolo "Hamas è nemica (anche) delle università"
Con sconcertante ipocrisia, i capi di Hamas accusano il governo degli Stati Uniti di violare i diritti dei manifestanti anti-Israele nei campus universitari americani. “I tentativi dell’amministrazione americana di sopprimere queste attività non cambieranno la realtà della situazione e la giustezza della causa palestinese”, ha affermato il portavoce di Hamas Bassem Naim. I capi di Hamas non riescono a capire che non è il governo federale degli Stati Uniti quello incaricato di far rispettare le leggi locali, e tanto meno la sicurezza all’interno dei campus, a differenza di quanto avviene a Gaza dove l’organizzazione terroristica esercita un totale controllo centrale e ha praticamente eliminato le proteste pubbliche. Nel 2023, Freedom House ha riferito che “Hamas governa in modo autoritario, sopprimendo attivamente le critiche al suo governo” aggiungendo che “la polizia guidata da Hamas ha represso violentemente le manifestazioni studentesche”. Ma la violazione più eclatante dei diritti degli studenti e della libertà accademica da parte di Hamas non si è verificata a Gaza, bensì in Israele. Ventidue anni fa, il 31 luglio 2002, un terrorista di Hamas fece esplodere una bomba carica di schegge metalliche sotto un tavolo della mensa dell’Università di Gerusalemme causando un’enorme devastazione. L’attacco costò la vita a nove persone e causò gravi ferite e mutilazioni a un centinaio di studenti e membri del personale di ogni estrazione, tra cui cittadini israeliani, americani, francesi (e una studentessa italiana ndr). Nel mezzo di quella sanguinosa campagna terroristica che divenne nota come “seconda intifada”, Hamas si assunse volentieri la responsabilità di quella strage sostenendo che si trattava di una rappresaglia per un precedente attacco israeliano a un capo di Hamas. l massacro fu denunciato dall’Onu e, tra gli altri, dai governi di Cina e Sudafrica. Il presidente americano Bush affermò: “Vi sono chiaramente degli assassini che odiano il pensiero della pace e, quindi, sono pronti a riversare il loro odio in tutti i luoghi, inclusa un’università”. Con una popolazione studentesca araba stimata all’epoca al 10%, l’Università di Gerusalemme era orgogliosa di offrire un’istruzione di livello mondiale a persone di tutte le fedi e nazionalità. “La scelta degli aggressori di colpire proprio il nostro campus, che è un centro di tolleranza e pluralismo, è spaventosa – scrisse il presidente dell’università Menachem Magidor – Ma non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo stringere i denti e andare avanti. Rinunciare a ciò che stiamo cercando di creare nell’università sarebbe una resa al terrorismo”. Nell’anniversario dell’attentato all’Università di Gerusalemme, i parallelismi tra quell’attacco e il massacro del 7 ottobre 2023 – al di là delle dimensioni – sono sorprendenti. In entrambi i casi, Hamas ha colpito istituzioni laiche e liberali (un’università nel primo caso, i kibbutz e un festival musicale giovanile nel secondo), mietendo vittime ebree e non ebree, così come cittadini di Israele, degli Stati Uniti e di molte altre nazioni. Entrambi gli attentati sono collegati all’impegno fondamentale di Hamas di utilizzare qualsiasi mezzo e luogo, compreso il campus universitario, per respingere qualunque soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese ed eliminare lo stato ebraico. Lo statuto di Hamas del 1988 afferma chiaramente che nessuna parte della “terra di Palestina” dovrà mai essere ceduta: “Né un singolo paese arabo né tutti i paesi arabi, né alcun re o presidente, né tutti i re e i presidenti, né alcuna organizzazione né tutti loro insieme, siano essi palestinesi o arabi, hanno il diritto di farlo” In entrambi i casi, Hamas è stata in parte motivata dalla volontà di porre fine a un processo di pacificazione, e riaffermare il suo ruolo centrale nella politica palestinese. Il massacro del 2002 ripudiava una serie di iniziative di pace, dal vertice di Camp David del luglio 2000, al vertice di Taba del gennaio 2001, all’iniziativa di pace araba del marzo 2002. L’attacco del 7 ottobre 2023 è servito anche per sferrare un colpo micidiale alla nascente normalizzazione saudita-israeliana. L’ideologia di Hamas ha sempre sostenuto la guerra contro Israele su tutti i fronti. “La jihad – si leggeva nel suo manifesto – non è solo portare armi e scontrarsi con il nemico. La propaganda efficace, un buon articolo, un libro utile… sono tutti elementi della jihad nel nome di Allah”. Hamas ha sempre esortato scrittori, intellettuali, media ed educatori ad abbracciare la sua causa. Anche nel 2017, la Carta di Hamas in versione “riveduta” ribadiva che “resistere all’occupazione con tutti i mezzi e metodi è un diritto legittimo garantito dalle leggi divine e dalle norme internazionali, e al centro di tutto c’è la resistenza armata”. Hamas ha ampiamente utilizzato le università di Gaza e Cisgiordania come terreni di reclutamento per attivisti e terroristi. Come sottolinea l’esperto Matthew Levitt, molti attivisti e terroristi di Hamas si sono formati nel Kutla Islamiya (Blocco Islamico) dentro le università palestinesi, in parte finanziato tramite enti di “beneficenza” di Hamas. Lo stesso Ismail Haniyeh ha studiato all’Università Islamica di Gaza e nel dicembre 1993 ne è stato nominato preside. L’attentato all’Università di Gerusalemme evidenzia anche il differente approccio, allora, dell’Autorità Palestinese guidata da Fatah. Mentre la strage scatenava festeggiamenti nella città di Gaza, l’Autorità Palestinese ebbe parole di condanna dell’attentato, anche se incolpava Israele d’averlo provocato (viceversa, l’Autorità Palestinese non ha mai condannato il 7 ottobre ndr). Mentre ricordiamo le vittime dell’attentato all’Università di Gerusalemme nel 22esimo anniversario della loro morte, ricordiamo anche che per Hamas il campus universitario non è un fine in sé, un santuario inviolabile di apprendimento e conoscenza, bensì un mezzo fra i tanti da piegare ai suoi fini: per il reclutamento, per la propaganda, per il terrore. (Da: Times of Israel, 30.7.24)
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