Non è più tollerabile la presenza della Turchia nella NATO
Analisi di David Elber
Ormai è diventato chiaro che la presenza della Turchia nella NATO non è più compatibile (se lo è mai stata) con i valori e gli scopi di questa organizzazione militare difensiva. L’ultimo episodio, in ordine cronologico, della deriva turca è la minaccia di invasione di Israele da parte di Erdoğan. Ma la cosa che più lascia sconcertati è il silenzio assordante di tutti gli altri Stati membri dell’organizzazione con la sola eccezione del neo premier olandese Wilders. È plausibile che un membro di questa organizzazione militare possa minacciare di invasione un altro Stato sovrano? È plausibile che un membro di questa organizzazione militare abbia invaso, 50 anni fa, uno Stato sovrano (Cipro) e nessuno abbia mai preso provvedimenti?
La nuova minaccia di Erdoğan, si può derubricare come semplice “retorica”, o è qualcosa d’altro? Di sicuro minacciare di invasione un altro Stato sovrano è una palese violazione del diritto internazionale, e vista la reazione degli altri Stati membri della NATO questa non è reputata cosa degna di nota.
È importante sottolineare che Israele non ha mai minacciato la Turchia, non ha conteziosi territoriali, economici né di altra natura. Ma da quando Erdoğan ha preso il potere si è assistito ad un crescendo di attacchi turchi nei confronti di Israele.
A partire dal 2010 – dopo il caso della Mavi Marmara – l’antica alleanza si è trasformata in aperta ostilità turca nei confronti dello Stato ebraico. Da quel momento sono state numerose le manovre ostili messe in campo da Erdoğan. Queste sono le principali:
Il suo sostegno per Hamas e per altre organizzazioni terroristiche, come IHH che ha organizzato la “Mavi Marmara flottiglia” è sempre più evidente e in piena competizione con l’Iran degli ayatollah. Questo supporto passa attraverso generosi finanziamenti, appoggio politico e logistico, fino ad arrivare alla concessione della cittadinanza turca alla dirigenza di Hamas. Anche dopo il 7 ottobre Erdoğan ha speso parole di elogio per Hamas dichiarando che nel caso i terroristi venissero espulsi dal Qatar li accoglierebbe a braccia aperte.
Le attenzioni “ottomane” di Erdoğan verso Gerusalemme sono un tema molto importante. E’ qui, infatti, che il “Centro culturale turco”, totalmente finanziato dalla Turchia, ha iniziato a cooperare e finanziare il Waqf con il chiaro intento di stabilire programmi scolastici – anche in lingua turca – presso le università Bir Zeit e Al Quds. Oltre a questi programmi, gli accordi sottoscritti dai turchi con lo Sceicco Ekrima Sa’id Sabri (precedente Gran Muftì di Gerusalemme) servono per finanziare le famiglie dei terroristi palestinesi condannati in Israele. Non meno pericoloso è il legame tra lo sceicco Sabri e lo sceicco Raed Salah, il quale è a capo della branca fuori legge del Movimento Islamico nel nord di Israele, e diverse volte è stato incarcerato per terrorismo. Inoltre, Erdoğan, alcuni anni fa ha conferito a Raed Salah, la medaglia di “Difensore di Gerusalemme”. Non pochi sono i soldi turchi che finiscono per propagandare il mito della “giudeizzazione di Gerusalemme” e del presunto pericolo che correrebbero le moschee sul Monte del Tempio. Un continuo stillicidio di false accuse che stanno radicalizzando soprattutto gli studenti delle scuole religiose e la locale popolazione araba. Anche l’arcivescovo Teodosio di Sebastia (Atallah Hanna) del patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme, lautamente finanziato dai turchi, ha più volte accusato “Israele di aver più volte tentato di avvelenarlo”. La propaganda antiebraica viene diffusa, anche, tramite innocui giochi per computer diffusi tra i ragazzi più giovani. Gerusalemme sta lentamente diventando un vero e proprio teatro di scontro politico, culturale e religioso dove Erdoğan, utilizzando i palestinesi, vuole contendere la sovranità al legittimo governo di Israele. Si deve sottolineare, anche, che tra le cose più preoccupanti di questa situazione è da annoverare la totale assenza di risposta dei vari governi di Gerusalemme. Pur essendo al corrente della pioggia di soldi che annualmente dalla Turchia arriva a ONG, a organizzazioni come il Turkish-Palestinian Forum, a enti religiosi, a moschee in varie località israeliane come Gerusalemme, Haifa, Giaffa, Acri e Ramla, Israele non sta facendo nulla di concreto per porre fine a questa penetrazione economica, culturale e politica volta a minare l’autorità dello Stato nel proprio territorio.
Erdoğan non si limita al solo Israele, ha mire espansionistiche in vari scacchieri.
Il caso di Cipro è solo il più noto. Dal 1974 l’occupazione turca non ha mai destato grandi controversie internazionali anche se si è trattato di una invasione vera e propria con relativa operazione di colonizzazione, in aperta violazione del diritto internazionale. Con Erdoğan le cose hanno subìto un’accelerazione impressionante: ormai sono 40.000 i militari turchi in pianta stabile sull’isola e centinaia di migliaia i coloni. Non è servito un granché a Cipro entrare nella UE nel 2004. L’opera di colonizzazione non solo non è diminuita ma è addirittura aumentata con i soldi della UE: esiste, infatti, da qualche anno un programma di finanziamento della Commissione europea per i turchi che vivono a Cipro. Si chiama “The European aid for Turkish in North Cyprus”, e serve per la realizzazione di infrastrutture come fogne, sistema idrico, strade, ponti, interi villaggi, programmi culturali, turismo ecc. Nel caso di una reale occupazione come quella turca di Cipro, la UE non solo non la condanna ma la finanzia mentre a proposito di quella inventata della Giudea e Samaria, etichetta e discrimina le attività economiche in base a inesistenti leggi internazionali.
Nel Golfo Persico, la Turchia ha preso le difese del Qatar nella disputa con Arabia Saudita e le altre monarchie del golfo. Ha inviato un contingente militare a protezione dell’Emirato consistente in oltre 5.000 soldati e carri armati
La Turchia è presente nel Nord dell’Iraq, nella base di Bashiqa a circa 60 chilometri da Mosul, dalla sconfitta dell’Isis ma da allora non si è più ritirata. La ragione è il controllo del confine per prevenire “infiltrazioni terroristiche” curde. Di fatto occupa una enorme area del territorio iracheno nell’indifferenza dell’ONU, della UE e degli USA.
Sul versante siriano, una prima escalation si è avuta nell’estate del 2016 quando Erdoğan intimò ai curdi di lasciare tutta l’area ad ovest dell’Eufrate sotto minaccia di invasione. Solo un forte intervento politico americano scongiurò l’operazione militare, ma di fatto la ritardò, solamente, di qualche mese. Infatti, l’operazione militare, denominata “Ramoscello d’ulivo”, fu lanciata nel gennaio del 2018. La zona colpita dall’attacco turco fu la zona attorno alla città di Afrin.
Già questa offensiva provocò migliaia di morti tra i civili e oltre 200.000 profughi curdi che lasciarono le loro abitazioni in un’operazione di pulizia etnica del saliente di Afrin. Al termine delle operazioni militari i curdi residenti nell’area di Afrin sono stati sostituiti da arabi e turcomanni di altre zone della Siria. Questa offensiva, come le precedenti effettuate in Iraq, non ha provocato la ben che minima reazione dell’ONU e di nessun organismo internazionale. In pratica, per il diritto internazionale, evidentemente, è diventato ammissibile intervenire militarmente in uno Stato sovrano per cambiarne la natura etnica della popolazione. Infatti, visto lo scarso sdegno mondiale, Erdoğan ha deciso di ripetere l’offensiva nel Rojava siriano.
Erdoğan ha proclamato che lo scopo principale era quello di creare una zona cuscinetto profonda 30 km (in territorio siriano) lungo il confine internazionale tra la Turchia e la Siria. Per il presidente turco lo scopo di questa zona cuscinetto era quello di “mettere in sicurezza” il confine turco dalla presenza dei terroristi. Per Erdoğan i terroristi sono, indiscriminatamente, tutte le milizie curde. Inoltre, cosa altrettanto importante, il presidente turco ha voluto cambiare etnicamente tutta la regione del Rojava, facente parte di uno Stato sovrano, con la sistemazione di quasi 3 milioni di profughi siriani arabo-sunniti. L’azione militare turca, prima nel cantone di Afrin e ora in tutto il confine nord est della Siria, è stata motivata dalla “percezione” turca di dover “liberare” quelle aree da minacce terroristiche. Parliamo di “percezione” perché nessun attacco è stato effettuato in territorio turco nè da Afrin nè dal Rojava. Per Erdoğan, il solo affermare la presenza di terroristi in aree di uno Stato sovrano da il diritto di invaderlo e di creare “zone di sicurezza” senza presentare a nessuno delle prove concrete di minacce alla sicurezza turca. Tutto ciò in totale contravvenzione degli art. 2 e 51 dello Statuto dell’ONU.
Per quanto esposto è evidente che la Turchia non ha i requisiti morali, etici e civili per far parte della NATO. Se la NATO vuole mantenere un poco di credibilità, oltre che degli standard morali e etici che ha sempre vantato, deve espellere la Turchia, altrimenti la retorica di Putin e della Cina, che vedono nella NATO un’organizzazione aggressiva e una minaccia, può avere delle solide basi con la presenza di un paese come la Turchia di Erdoğan tra i suoi membri.
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