Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/07/2024, a pag. 17, con il titolo "Israele colpirà Hezbollah... prima o poi", l'analisi di Amedeo Ardenza.
Il governo israeliano sta reagendo al massiccio attacco missilistico lanciato da Hezbollah sabato scorso dal sud del Libano che ha ucciso dodici bambini drusi di Majdal Shams, nel Golan israeliano. Chi ha invocato una reazione forte da parte dell’apparato militare israeliano è però destinato a rimanere deluso: il gabinetto di Gerusalemme ha sì autorizzato il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant a stabilire i tempi e i modi con cui le Israel Defence Forces (Idf) colpiranno Hezbollah ma al momento non è stata annunciata alcuna massiccia operazione aerea né, tantomeno, l’ingresso di militari israeliani sul suolo libanese.
Ieri droni delle Idf hanno eliminato due alti ufficiali di Hezbollah nel sud del Libano mentre una nave da guerra israeliana ha abbattuto un drone lanciato da Hamas contro il sud d’Israele: niente di nuovo rispetto agli ultimi nove mesi di guerra d’attrito. Le vere novità vengono da fuori. La prima, l’appello del governo tedesco ai propri cittadini in Libano a lasciare il Paese. La secoda, l’uscita esplosiva del presidente turco Recep Tayyip Erdogan: «Come siamo entrati nel Karabakh e in Libia, potremmo fare lo stesso con Israele» per mettere fine alla guerra con i palestinesi. Parole condannate da tutta Israele ma che, secondo i critici del governo, tradiscono l’immagine di debolezza di un Israele che si fa pestare i piedi dai suoi vicini senza reagire.
«La nostra risposta ci sarà e sarà dura», ha promesso Netanyahu visitando Majdal Shams accompagnato dallo sceicco Muafak Tarif, leader spirituale dei drusi. Bibi ha espresso la propria vicinanza alle famiglie colpite sollecitando la comunità drusa a non perdere la speranza. «Siamo fratelli: abbiamo un patto per la vita, ma è anche un patto per momenti di lutto e dolore», ha continuato.
A Majdal Shams il premier non stava parlando a una comunità drusa “qualsiasi” come ce ne sono nel nord d’Israele. Occupate con la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, le alture del Golan sono state annesse nel 1981: solo da allora gli abitanti della cittadina martoriata sabato scorso da Hezbollah hanno potuto richiedere la cittadinanza israeliana. Molti però hanno continuato a considerarsi cittadini siriani. Dal 2012, l’anno dello scoppio della guerra civile in Siria, il trend è cambiato con molti giovani drusi di montagna – Majdal Shams è a 1.130 metri sul mare – pronti a reclamare il passaporto israeliano.
Mentre Israele si accinge a entrare nel decimo mese di guerra su due fronti (Gaza e il Libano), l’ultima cosa di cui il governo ha bisogno è una frattura con la comunità drusa, altrimenti ben integrata; e ieri non pochi i residenti di Majdal Shams hanno protestato contro la visita del premier.
Nuovi grattacapi per il gabinetto Netanyahu vengono dalla destra nazionalista religiosa. Dopo che la polizia militare ha arrestato nove militari nel quadro di una indagine per presunti abusi ai danni di un detenuto palestinese, un gruppo di manifestanti di estrema destra, sostenuti anche da alcuni parlamentari, ha protestato davanti alla base militare di Sde Temain. Alcuni di loro hanno fatto irruzione nella struttura provocando la reazione della polizia. Mentre le opposizioni gridavano al 6 gennaio, riferendosi all’assalto al Campidoglio da parte di centinaia di sostenitori di Donald Trump nel 2021, sia Bibi sia il capo dello Stato Isaac Herzog hanno lanciato appelli alla calma. Per il capo di stato maggiore delle forze armate Herzi Halevi «irrompere in una base militare e disturbare l'ordine è un comportamento grave che non è accettabile in alcun modo: siamo in guerra e azioni di questo tipo mettono in pericolo la sicurezza del paese». Da parte sua il ministro Gallant ha ricordato che «anche nei momenti di rabbia, la legge si applica a tutti» e che le Idf «continueranno ad agire secondo la legge».
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