Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/07/2024, a pag. 4, con il titolo "Parte la risposta di Israele: prime bombe sul Libano. Ma i drusi chiedono di più: Beirut deve bruciare", l'analisi di Amedeo Ardenza.
Il giorno dopo è esplosa la rabbia dei drusi. Domenica sono stati celebrati i funerali di undici dei dodici bambini uccisi da un missile sparato dal sud del Libano da Hezbollah che li ha centrati sabato mentre seguivano una partita di calcio a Majdal Shams. La dodicesima vittima è considerata “dispersa” mala speranza di ritrovare il ragazzino in vita è pari a zero. Per le esequie, la cittadina drusa del Golan, nel nord d’Israele, è stata visitata da migliaia di persone in arrivo dalla regione.
Majdal Shams era listata a lutto e così le vicine Buq’ata e Masa’ada, dove i negozi sono rimasti chiusi durante i funerali. Accanto ai cittadini comuni erano presenti anche il ministro dell’Istruzione Yoav Kisch del Likud, il titolare delle Finanze Bezalel Smotrich della destra nazionalista-religiosa e il leader dell’opposizione Yair Lapid a segnalare la vicinanza delle istituzioni. «Sono arrivato questa mattina per dare forza ai residenti di Majdal Shams e alle loro famiglie. L'intero Stato di Israele condivide il loro dolore», ha affermato Kisch. «Da ieri, il ministero dell’Istruzione ha attivato un centro di assistenza emotiva, composto da esperti in situazioni di emergenza e di crisi del Servizio di consulenza psicologica».
INFURIATI
Per Lapid, «i bambini che sono morti su questo campo di calcio avrebbero potuto essere figli di ognuno di noi e quindi sono figli di ognuno di noi. Il ruolo dello Stato è dare sicurezza ai bambini, i bambini non devono morire nelle guerre degli adulti». La loro visita non è però bastata a placare gli animi. «Undici bambinii sono morti e voi venite qui? Perché Beirut esiste ancora? Se non ci difendete dovremo difenderci da soli!», sono le grida rivolte dal pubblico e riprese dal canale israeliano Kan.
Israele non può giocarsi la fedeltà della comunità drusa, fra le meglio integrate del Paese. Il massiccio attacco di sabato sta tuttavia obbligando il governo a fare i conti con una situazione molto complessa: lo stato ebraico resta un campione dal punto di vista militare rispetto ai suoi vicini ma il pogrom del 7 ottobre 2023 a opera di Hamas ha sbriciolato l’aurea di invincibilità che il paese aveva nella regione. E poiché la regione è molto mal frequentata soprattutto a causa dell’Iran che non perde occasione di foraggiare ogni nemico d’Israele, la fine delle deterrenza significa che, come scrive il Jerusalem Post, «Israele è diventato il punching ball regionale», così che anche gli Huthi si sono messi a sparare missili contro Tel Aviv dal lontano Yemen e lo stesso hanno fatto mesi fa alcune milizie sciita dal parimenti lontano Iraq.
Ma se la deterrenza è un concetto, molto peggio per Israele è la sostanziale perdita di territorio: entrando a Gaza, Israele ha di fatto recuperato il pieno controllo dei valichi compresi quelli con l’Egitto grazie alla rioccupazione della Philadelphi Road, ma nel nord, dando ordine ai residenti più prossimi al Libano di sfollare, ha di fatto perso il controllo su una porzione dell’Israele storico.
Distretti di fatto oggi non più abitabili perché troppo esposti ai lanci di missili e degli incontrollabili colpi di mortaio esplosi da Hezbollah appena oltre il confine.
Parlando da Tokyo, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha reso un servizio molto parziale all’alleato israeliano: dapprima ha ribadito che «secondo ogni indicazione» il missile che ha ucciso dodici bambini e ferito 40 persone sabato a Majdal Shams sia stato esploso da Hezbollah, circostanza che la milizia sciita ha negato dopo essersi resa conto di aver causato una strage di innocenti (per di più arabi, e persino drusi, minoranza importante anche in Libano); quindi ha ribadito che gli Stati Uniti «sostengono il diritto di Israele di difendere i suoi cittadini dagli attacchi terroristici»; e però ha sottolineato che un cessate il fuoco a Gaza sarebbe «il modo migliore» per porre fine ai combattimenti nel nord.
I DUBBI DI BIBI
Parole che fanno il gioco di Hezbollah: la milizia libanese è stata la prima a giustificare la ripresa delle ostilità contro Israele come misura di solidarietà con i palestinesi di Gaza, una solidarietà iniziata l’8 ottobre ossia poche ore dopo il massacro di migliaia di israeliani (e il rapimento di alcune centinaia di cittadini) a opera di Hamas. Israele, che negli scorsi giorni ha offerto una tregua a Hamas alle proprie condizioni, non può dimostrarsi più arrendevole perché colpito a morte al nord. Non è questo il modo di ricostruire la propria deterrenza. Drusi o ebrei, i cittadini israeliani lo sanno molto bene e in molti stanno perdendo la pazienza con il governo di Benjamin Netanyahu che, a parte qualche bombardamento ieri, non ha ancora fatto sapere come reagirà: il gabinetto di sicurezza è in riunione pressochè permanente ma l’unica notizia trapelata finora è il nervosismo di Bibi per l’attivismo del ministro della difesa (e membro del suo partito) Yoav Gallant.
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