Riprendiamo da LIBERO di oggi 29/07/2024, a pag. 1/10, con il titolo "Benvenuti alle Olimpiadi dove lo sport è un accessorio e vince solo l'ideologia", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Era difficile immaginare una partenza peggiore per le Macroniadi.
Ripensando alle ultime 72 ore, tornano alla mente quattro istantanee, l’una più mortificante dell’altra.
Parto dall’ultimo episodio in ordine di tempo, per certi versi il più vergognoso, anche perché al momento è rimasto senza risposta da parte di organizzatori, comitato olimpico e governo francese. Di che si tratta? Tale Jibril Rajoub, che guida la delegazione palestinese, ha fatto sapere che i suoi atleti potrebbero eventualmente valutare - bontà loro di stringere la mano agli israeliani solo «se riconoscono la Palestina».
Già in tempi normali, per così dire, parole del genere sarebbero state una clamorosa e patente sconfessione dello spirito olimpico.
Ma che questa frase sia stata pronunciata perfino dopo l’atroce azione di Hezbollah a Majdal Shams, dove bambini innocenti sono stati uccisi mentre giocavano a calcio, dà la misura di un’atmosfera in cui le componenti antisemite e quelle disumane finiscono tragicamente per sovrapporsi.
La seconda istantanea ha invece a che fare con l’autentica debacle francese che si è registrata sul piano dei trasporti e della sicurezza, circostanza poi oscurata - ci verremo tra poco - dalla cerimonia supertrash e ultracafonal di apertura dei Giochi.
Ma quel fiasco logistico e in termini di security non può essere messo tra parentesi, con la Francia intera (aeroporti, stazioni, comunicazioni) messa letteralmente in ginocchio nonostante che da mesi - anzi: da anni - fosse chiara a tutti la posta in gioco. Nessuno può sapere, per il momento, se la responsabilità dei sabotaggi sia ascrivibile solo ai gruppi ecoestremisti e di sinistra massimalista, o se dietro ci sia anche stata la manina di potenze autoritarie estere (i cui servizi sono spesso abilissimi nel servirsi di manovalanza altrui già presente sul territorio). Ma - al di là di registi ed esecutori, di pupari e pupi - rimane la sensazione palpabile di un potere francese largamente in balia degli eventi, tanto retorico nella pompa quanto fragile nella sostanza.
La terza istantanea- ahinoi, indelebile- è la grande cafonata inaugurale, ormai difesa solo da qualche sparuto e bizzarro gruppo di macronisti italici. Tutti gli altri - nel mondo - hanno sepolto di critiche l’evento. Alcuni hanno messo in luce un gratuito e greve attacco ai simboli della cristianità: e davvero si è reso un pessimo servizio all’idea stessa di laicità dando vita ad una clamorosa offesa al sentimento religioso dei cristiani di tutto il pianeta.
Con un patetico ritardo, solo ieri la direttrice della comunicazione di Parigi 2024 Anne Descamps ha balbettato delle mezze scuse («Se le persone si sono sentite offese, ci scusiamo»). Troppo poco e troppo tardi.
Altri, altrettanto comprensibilmente, hanno criticato la bruttezza, la dimensione pacchiana e inelegante dell’evento, al di là dello sfregio all’Ultima Cena. Del resto, la storia della cultura e dello spettacolo è stracolma di provocazioni: ma il punto era la cifra artistica che le connotava. Qui invece la dimensione dominante è stata quella della volgarità, vorrei dire di una volgarità voluta e pianificata.
Altri ancora, in termini di galateo, hanno evidenziato una grottesca smagliatura nel protocollo: Emmanuel Macron protetto e al riparo, mentre gli altri capi di stato sono rimasti esposti alla pioggia e al vento. Un’altra imperdonabile cafonata.
Tutto giusto, in queste tre critiche, a mio avviso. Ma manca un’ultima contestazione, forse la più grave di tutte. Quanti- dal fronte “politicamente corretto” - amano descrivere se stessi come «inclusivi» nemmeno se ne rendono conto, ma hanno trasformato il loro proclamato amore per le diversità nella volontà di imporre un’assoluta uniformità, un’omogeneità che ammette una sola dimensione. Chiunque ne sia fuori è automaticamente buttato nel girone dei reietti, degli oscurantisti, dei retrogradi. Altro che cultura delle differenze: per costoro, bisogna essere tutti uguali, tutti conformi, tutti omologati. Oppure si è dannati. Sta qui l’inferno degli «inclusivi».
E questa osservazione ci porta alla quarta e ultima fotografia, che ci mostra la grande insoddisfazione degli atleti, umiliati dalle follie bio ed ecosostenibili, fino ai letti in cui sono costretti a dormire.
Ma a ben vedere anche qui tutto corrisponde a una perversa “razionalità”: al centro di questi Giochi, e nei pensieri di chi li ha concepiti per queste Olimpiadi, non c’è né l’“atleta” né la “persona”, ma un’ideologia.
Tutto è messo al servizio di questa ideologia, di questo “sistema” (un cocktail di cultura woke, laicità malintesa, finta tolleranza, reale integralismo, progressismo omogeneizzante). Il resto, ai gestori delle Macroniadi, non interessa.
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