La guerra della Corte mondiale contro i diritti degli ebrei
Analisi di Anne Bayefsky
Testata: israele.net
Data: 26/07/2024
Pagina: 1
Autore: Anne Bayefsky
Titolo: La guerra della Corte mondiale contro i diritti degli ebrei

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Anne Bayefsky tradotta dal Times of Israel dal titolo "La guerra della Corte mondiale contro i diritti degli ebrei".

Anne Bayefsky
La guerra della “Corte mondiale” contro i diritti degli ebrei - Israele.net  - Israele.net
La comunicazione della Corte Internazionale di Giustizia, tanto faziosa da screditare se stessa: un esempio da manuale del pregiudizio contro lo Stato ebraico. Invece, nessuna menzione dei crimini palestinesi. Come sempre avviene in un tribunale internazionale che sembra lì apposta solo per distruggere Israele con metodi giudiziari.

La Corte mondiale delle Nazioni Unite, chiamata anche Corte Internazionale di Giustizia, ha scagliato un attacco di 80 pagine allo stato di Israele nel tardo pomeriggio di venerdì 19 luglio 2024. Erano passati cinque mesi da quando la Corte aveva ascoltato le argomentazioni orali, eppure la Corte ha ritenuto di emettere la sua comunicazione proprio all’inizio di Shabbat, il sabato ebraico. Il parere della maggioranza è stato accompagnato da centinaia di pagine di ulteriori dichiarazioni e pareri di vari giudici. Formalmente si chiama “parere consultivo”. In realtà, è un’ sconcezza giuridica dall’inizio alla fine. L’unico giudice che ha espresso un coerente e argomentato dissenso è stata la vicepresidente della Corte, la ugandese Julia Sebutinde.

Il chi. Si tratta della cosiddetta “Corte mondiale” delle Nazioni Unite, un organismo controllato da una inveterata maggioranza automatica anti-israeliana. I membri della Corte vengono nominati dalle Nazioni Unite. Tra i suoi “esperti” legali figurano presunte autorità provenienti da luoghi totalmente privi di stato di diritto, come Cina e Somalia. L’uomo che ha letto ad alta voce al mondo il “parere” non vincolante, ben bardato con abiti da giudice in poma magna, è il presidente della Corte, Nawaf Salam. Salam è un politico libanese, il cui nome era sulle schede elettorali nelle due ultime votazioni per il primo ministro del Libano: un paese che non riconosce il diritto di Israele ad esistere. Salam è stato ambasciatore del suo paese alle Nazioni Unite per più di 10 anni fino al 2017, ricoprendo in quel periodo anche la carica di presidente del Consiglio di Sicurezza e vicepresidente dell’Assemblea Generale. Le sue attività sui social network includono meme in cui simpaticamente augura a Israele “infelice compleanno”.

Il cosa. La richiesta di un “parere consultivo” non vincolante da parte della Corte è arrivata dall’Assemblea Generale dell’Onu all’inizio del 2023. La risoluzione dell’Assemblea Generale venne adottata con soli 87 voti a favore, meno della metà dei membri delle Nazioni Unite. La domanda posta dalla schiera ostile è stata formulata in questo modo, evidentemente obiettivo e neutrale: Israele è colpevole delle seguenti violazioni del diritto internazionale, quali sono le conseguenze? (letteralmente: “Quali sono le conseguenze legali derivanti dalla continua violazione da parte di Israele del diritto del popolo palestinese a…”). La condanna era inscritta nella richiesta, cosa tipica dei processi-farsa. Naturalmente, non c’era nessuna menzione di violazioni palestinesi.

Il come. La Corte ha affermato che avrebbe comunque riesaminato la colpevolezza di Israele, ha proceduto a ridichiarare sommariamente colpevole Israele e poi ha esposto le “conseguenze”. Come ha ritenuto Israele colpevole? Stando alle sue stesse parole, senza considerare i fatti. Per quanto appaia incredibile, infatti, la Corte ha testualmente affermato: “Non è necessario che la Corte accerti i fatti riguardo a specifici incidenti in presumibile violazione del diritto internazionale”. E’ sufficiente, ha detto la Corte, che l’abbia affermato il Segretario Generale dell’Onu. Che è quello stesso Segretario Generale António Guterres che si è ripetutamente ingegnato per giustificare Hamas e che già il 9 ottobre spiegava che le atrocità del 7 ottobre “non sono scaturite dal nulla” (cioè, che Israele se l’era cercata).

I risultati. Tra le varie cose, questo grottesco tribunale da operetta ha dichiarato che Israele è colpevole del crimine contro l’umanità dell’apartheid. Le sono bastate meno di 250 parole per giungere a questa conclusione di enorme portata, destinata a creare una valanga di conseguenze legali e politiche con l’intento di isolare e debilitare in modo permanente lo stato ebraico. Non contenta, la Corte esige poi la pulizia etnica degli ebrei da qualsiasi territorio che gli arabi palestinesi o l’Onu affermino essere “palestinese”. “Tutti i coloni” devono andarsene, “tutti i palestinesi” devono poter “tornare”, “il muro” (la barriera di sicurezza che ha posto fine alla carneficina degli attentati suicidi) deve essere smantellato ovunque lo dicano loro. Evidentemente, quando a perseguire l’apartheid è la “Palestina”, va tutto bene. Il territorio “palestinese” che si afferma occupato da Israele – Gaza, Cisgiordania/Giudea e Samaria, la parte est di Gerusalemme – viene tutt’a un tratto definito dalla Corte come consistente in “un’unica unità territoriale, la cui unità, contiguità e integrità devono essere preservate”. Non è chiaro dove vengano lasciati gli ebrei in questo “territorio palestinese” contiguo, in realtà inesistente. L’opinione della Corte ha un’intera sezione intitolata “Violenza contro i palestinesi”. Naturalmente non c’è nessuna sezione sulla violenza contro gli israeliani. In effetti, non c’è stata nessun dibattito né esame dei fatti riguardo a violenze, terrorismo, razzi, attentati suicidi, accoltellamenti, uccisioni con veicoli, sparatorie, rapimenti e stupri contro israeliani. La sola menzione della “violenza di genere” dipinge i palestinesi come vittime. Un altro bell’esempio disgustoso dell’ormai risaputo “MeToo a meno che tu sia ebrea” da parte delle Nazioni Unite. L’opinione della Corte si basa su una micidiale fiction storica. Vi si legge: “Il 14 maggio 1948 Israele proclamò la propria indipendenza con riferimento alla risoluzione 181 (II) dell’Assemblea Generale; scoppiò quindi un conflitto armato tra Israele e alcuni stati arabi e il piano di spartizione non fu attuato”. “Scoppiò” è l’eufemismo che usano le Nazioni Unite per indicare il tentativo di annientare il nascente stato ebraico da parte degli stati arabi e degli arabi palestinesi. Allo stesso modo, più avanti si legge: “Nel 1967 scoppiò un conflitto armato (noto anche come ‘guerra dei sei giorni’) tra Israele e i paesi vicini Egitto, Siria e Giordania”. E poi ancora: “Nell’ottobre 1973 scoppiò un altro conflitto armato tra Egitto, Siria e Israele”. “Scoppiò” è dunque il termine con cui l’Onu nasconde la sistematica campagna degli stati arabi e dei palestinesi per distruggere lo stato ebraico dal 14 maggio 1948 in poi, sia sul campo che alle Nazioni Unite. Questo sfacciato revisionismo storico da parte del più alto organo giuridico delle Nazioni Unite getta nel ridicolo le sue successive “conclusioni” costruite su una montagna di menzogne. L’opinione della Corte fa grande assegnamento su lunghe discussioni circa l’“autodeterminazione” degli arabi palestinesi e sui “diritti” associati. Naturalmente, nemmeno un accenno all’autodeterminazione ebraica. La Corte afferma che “l’elemento chiave del diritto all’autodeterminazione è il diritto di un popolo di determinare liberamente il proprio status politico e di perseguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”. Ad eccezione degli ebrei. Quando si tratta degli ebrei, è l’Onu che decide lo status politico degli ebrei nello stato ebraico e redige un “parere” chiaramente inteso a promuovere il BDS: sanzioni, boicottaggi e sforzi globali per decurtare e demolire lo sviluppo economico, sociale e culturale di Israele. Non basta. Appena 75 anni dopo la Shoah, la Corte delle Nazioni Unite distorce le leggi scritte in risposta alle atrocità commesse contro gli ebrei, per demonizzare lo stato-rifugio del popolo ebraico. La Corte utilizza la legge che condannava la criminale deportazione forzata di ebrei dalle loro case ai campi di concentramento ad opera dei nazisti come strumento per criminalizzare lo spostamento volontario di ebrei all’interno della terra di Israele. Questo non è Diritto. È guerra con un altro nome. È il volto contorto dell’antisemitismo moderno. La totale inversione tra giusto e sbagliato è apparsa evidente quando Hamas ha reagito alla decisione della Corte: un’organizzazione dedita alla violazione sistematica e deliberata del diritto e dei principi fondamentali della decenza umana ha immediatamente accolto con pieno favore il parere della Corte. Anche solo per questo il resto del mondo avrebbe dovuto capire al volo che sono in campo pesanti pregiudizi anti-israeliani.

Le reali conseguenze. In questo modo il cosiddetto “processo di pace” è morto, ucciso dai presunti giudici pacifisti delle Nazioni Unite. D’ora in poi, i palestinesi non avranno alcun motivo per negoziare alcunché né per accettare finalmente la legittimità di uno stato nazionale ebraico. Tanto c’è l’Onu che ha già deciso su tutti i tempi che avrebbero dovuto essere oggetto di negoziato in base agli accordi di Oslo e altri accordi sottoscritti dalle parti: territorio, confini, insediamenti, Gerusalemme. Tutto ciò che i palestinesi devono fare è sedersi e godersi lo spettacolo delle crescenti pressioni su Israele. E perpetuare sempre più odio verso gli ebrei, istigare più violenza e fomentare più guerre. Impunemente. (Da: Times of Israel, 20.7.24)

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