Riprendiamo da LIBERO di oggi 25/07/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Il mutismo selettivo della stampa di sinistra. Da Cutro alla rissa Pd, fino ai disastri di Napoli", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Premessa doverosa: l’imparzialità giornalistica non esiste, anzi non può esistere. Fatalmente ogni firma, ogni testata, ogni organo di informazione guarda il mondo (e poi lo racconta) attraverso le lenti che ha scelto di indossare.
In questo senso, il miglior atto di correttezza che si possa compiere nei confronti di lettori e telespettatori è rendere chiaro e comprensibile per tutti quale sia il proprio punto di osservazione, l’angolo visuale che si sceglie per osservare le cose e commentarle. Quanto più quella prospettiva è riconoscibile, tanto più chi legge un quotidiano o guarda un programma televisivo può stimolare un sano anticorpo rispetto alle idee che gli vengono presentate, capire da quale cucina e con quali ingredienti siano preparate le pietanze che gli vengono servite, e può soprattutto – dopo aver ascoltato diverse voci – dedicarsi meglio all’attività più importante di tutte: elaborare la propria personale opinione.
Semmai, se proprio vogliamo andare a caccia della manipolazione giornalistica più insidiosa, possiamo cercarla e trovarla in chi invece provi a millantare una (inesistente) oggettività, in chi pretenda di presentarsi come un’entità superiore e asessuata, come un custode inflessibile di un’oggettività assoluta che ovviamente non c’è e non può esserci. Quest’ultimo è il giochino furbetto a cui da sempre si dedicano i media il cui cuore batte a sinistra: fanno propaganda (come e più degli altri), ma cercano di accreditarsi come osservatori terzi e indipendenti. Peccato che le loro distorsioni siano ormai scoperte e facilmente “leggibili” dal grande pubblico: dalle crisi bancarie e finanziarie (negate o attenuate per anni) al racconto “ufficiale” sull’Europa (condotto sempre in chiave eurolirica), dalla demonizzazione di Brexit a quella di Trump già nella prima campagna del 2016, questi media hanno affastellato un fallimento dopo l’altro nell’analisi di ciò che accadeva e un progressivo distacco dalla realtà, quando essa ”osava” contraddire i loro schemi. Prendete l’ultima vicenda americana: per anni ci avevano raccontato (contro ogni evidenza) la favoletta di un Biden lucido e pimpante, salvo poi (oplà) scaricarlo senza scrupoli una volta che il bluff è stato scoperto durante il tragico dibattito con Trump del 27 giugno scorso. E così – arriviamo ai giornali italiani di ieri mattina – in un colpo solo sono stati fatti letteralmente sparire tre temi che smontavano le narrazioni progressiste o comunque non erano funzionali alla propaganda di sinistra.
Primo caso. Da domenica scorsa, giustamente, tutti hanno condannato l’aggressione da parte di quattro scalmanati appartenenti a Casa Pound contro un cronista della Stampa. A reti e testate unificate, sono volate parole grosse: il rischio-fascismo (è stato il quarantesimo allarme-nero in duecento giorni, al ritmo di uno ogni cinque giorni), richieste di scioglimento di associazioni e partiti politici, e via strepitando. Quando però (ve lo ha raccontato ieri solo Libero) è stato un esponente del Pd ad aggredire e a picchiare un uomo della Lega (è accaduto a Massa), i giornali che si erano affannati a gridare contro i pestaggi “neri” non hanno trovato spazio neanche per una proverbiale “breve”. Ne deduciamo che, se volete pestare qualcuno, dovete preventivamente procurarvi una tessera del Pd?
Secondo esempio. Ai tempi della tragedia di Cutro, i giornali antigovernativi (cioè quasi tutti) strillarono contro quella che definirono una “strage di Stato”, e dettero inizio a una vergognosa canea contro Giorgia Meloni usando le salme delle povere vittime del naufragio come se fossero corpi contundenti. Nel momento in cui però la procura ha smentito quelle interpretazioni, la notizia – miracolo! – è quasi svanita, è stata improvvisamente ridimensionata, ed è pressoché sparita dalle prime pagine di ieri. E come mai?
Elementare, Watson: perché è venuta meno la possibilità di una chiassata contro le “destre disumane”.
Terzo e ultimo esempio. Crolla quel che rimane di un mostro architettonico (le Vele di Scampia). E che si fa? La si butta sul vago e sul sociologico, omettendo di ricordare come quell’orrido casermone fosse il frutto di una impostazione totalmente ideologica dell’architettura urbana. Immense colate di cemento disumanizzanti, destinate fatalmente a diventare luoghi di crimine e di degrado, furono invece pensate – da politici e architetti comunisti – come paradisi di socializzazione, come utopie di condivisione collettiva. E adesso che quella storiella non è più spacciabile che si fa? Si butta la palla in tribuna, e si evita di raccontare la vera origine di quelle costruzioni. E – al massimo – si dà spazio ai comizietti di Roberto Saviano, che si traveste da grande accusatore fingendo di non sapere come quell’incubo di cemento sia diventato negli ultimi anni il set delle versioni televisive del suo libro più noto.
Solita storia: si urla nella speranza che gli altri si distraggano o siano totalmente smemorati.
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