Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 24/07/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "La Cina ‘unisce’ Hamas e Abu Mazen".
Fiamma Nirenstein
Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, ha conferito ieri un tocco surreale al grande teatro della guerra mediorientale: col vestito rigato e il volto delle grandi circostanze ha fornito a Pechino il palcoscenico per un accordo di pace e collaborazione che non si realizzerà mai, quello fra l’organizzazione terrorista di Hamas, padrona di Gaza, e Fatah, padrona della West Bank, insieme a altri numerosi gruppi, almeno 12, fra cui la Jihad Islamica che ha subito dichiarato di essere contraria a qualsiasi dichiarazione che riconosca l’esistenza di Israele. Al momento Musa Abu Marzuk, uno dei capi di Hamas (già, come mai è in giro per il mondo come niente fosse dopo il 7 di ottobre?) e Mahmoud el Aloul, vicepresidente di Fatah, fra molte strette di mano hanno intenzione solo di mettere un cappello sulla sedia del potere a Gaza verso la fine della guerra e di dimostrare che hanno un potente sponsor, ricco e aggressivo come e più degli Stati Uniti.
I rapporti fra i due gruppi e anche gli altri, non sono buoni: chi era alla riunione riporta che le voci alterate provenienti dalla discussione bucavano le porte e le mura, i due gruppi hanno dal 2007 quando Hamas gettava dai grattacieli di Gaza gli uomini di Fatah che cercavano di prendersi la Striscia dopo lo sgombero e elezioni in cui peraltro Hamas era risultata vincente, ricordavano gli accordi falliti del 2011 e del 2022. La Cina stavolta, data l’estrema debolezza di Hamas, mentre Sinwar non ha più a suo fianco l’indispensabile Deif, il suo capo di Stato maggiore, però potrebbe richiedere un comportamento disciplinato da due valvassini che hanno interesse alla sua sponsorizzazione e in generale a una sua presenza significativa nell’area, che è ciò cui essa punta, nell’ordine post-bellico che altrimenti rischia di riflettere interessi diversi da quelli palestinesi. E dell’asse antioccidentale: la Cina si muove con determinazione nell’area, con la sua forza ha portato nei mesi scorsi a un inusitato accordo (vedremo in futuro quanto solido) fra l’Iran e l’Arabia Saudita, in sua compagnia e sotto la sua ala figurano, insieme a Hamas, l’Iran, gli hezbollah, le altre forze “proxy” iraniane come gli Houthi e gli iracheni, e la Russia è la sua compagna di strada, pronta a difendere Hamas all’ONU e a invitarla a casa sua insieme allo sponsor iraniano.
Questo, a fronte delle forze democratiche occidentali e incidentalmente ad alcuni Paesi sunniti che aspettano il segnale per rientrare in scena. L’accordo palestinese dovrebbe, secondo le dichiarazioni dei protagonisti, disegnare un futuro post-bellico in cui a fianco dei residui di Hamas, ormai pacificati, si erge a protagonista, pronto a entrare nella gestione prossima ventura della Striscia, quel Fatah “moderato” e anche, come disse Biden “riformato”, per cui la carneficina di Sinwar dovrebbe ricevere il premio della formazione di uno “stato palestinese” non contrattato con Israele né nei confini né nelle intenzioni. Questo, contro gli accordi di Oslo e ogni buon senso. Hamas e Fatah insieme a Gaza significherebbe la preparazione del prossimo 7 ottobre, e peggio.
Nell’Autorità palestinese almeno il 70 per cento della popolazione voterebbe oggi per Hamas, e non per Abu Mazen, che peraltro non ha mai condannato la carneficina del 7 ottobre. L’entità composta dai due gruppi non avrebbe la minima intenzione di abbracciare il concetto di democrazia, ma al contrario sarebbe un sostenitore di un regime teocratico e di nuovo, terrorista come quello attuale. La Cina ne è ben consapevole, ed è contenta di potere mandare il suo segnale, forte e chiaro, concreto e duro, quello di una inaccettabile proposta di caos, proprio mentre Netanyahu sbarca negli USA e si prepara a spiegare che Israele è solo il capofila di uno scontro mondiale, in cui la libertà e la pace sono un premio tutto da conquistare.
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