Attacco al porto Houthi nello Yemen: quando la dottrina dell’autocontrollo non regge più
Analisi di Ben-Dror Yemini
Testata: israele.net
Data: 23/07/2024
Pagina: 1
Autore: Ben-Dror Yemini
Titolo: Attacco al porto Houthi nello Yemen: quando la dottrina dell’autocontrollo non regge più

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'analisi di Ben-Dror Yemini tradotta da YnetNews dal titolo "Attacco al porto Houthi nello Yemen: quando la dottrina dell’autocontrollo non regge più".

Ben-Dror Yemini
Attacco al porto Houthi nello Yemen: quando la dottrina dell'autocontrollo  non regge più - Israele.net - Israele.net
Israele non deve precipitarsi in una guerra regionale, ma l’esperienza con Houthi e Hezbollah ha insegnato che prudenza e autocontrollo protratti a lungo non dissuadono questo tipo di nemico, probabilmente fanno il contrario

Era uno strano aeroporto. Piccolo, trascurato. Siamo riusciti a passare attraverso il controllo di frontiera, un piccolo gruppo di israeliani alla prima visita di questo genere nello Yemen. La prima e l’ultima. Era l’anno 2000. Pensavamo e speravamo che quella visita sarebbe stata un’altra pietra miliare sulla strada verso la pace nella regione. Verso la fine di quell’anno scoppiò la seconda intifada (l’intifada delle stragi suicide nelle città israeliane ndr). E il sogno è andato in frantumi. C’era un odore sgradevole, lungo il tragitto dall’aeroporto. Un benvenuto fatto di liquami che scorrevano a cielo aperto. La capitale, Sana’a, appariva straordinaria da lontano, con quella sua architettura unica di edifici allungati verso l’alto, alcuni variopinti. Quando siamo arrivati alla periferia della città, le aspettative sono andate deluse. E’ una città senza servizi igienico-sanitari. Dopo aver visitato molte capitali arabe, la maggior parte di esse al confronto sembrano pulite come farmacie. E le donne, Houthi o no, sono tutte coperte dalla testa ai piedi. Si trattava di un paese che superava tutti gli stati arabi in fatto di estremismo religioso. E quanto più è estremo, tanto maggiore sono povertà e abbandono. Eravamo due giornalisti in un gruppo di otto. Avevamo in programma un incontro con il presidente del Parlamento. All’ultimo momento, ha avuto paura. La stampa locale parlò di questa prima visita in assoluto con toni assai critici. Al mercato di Sana’a fummo accolti cordialmente, con musica israeliana. Questo era forse l’unico modo in cui si esprimeva affetto per qualcosa di israeliano. Ci spostammo verso il nord dello Yemen, a Saada e in un altro villaggio. Lì fummo ospitati dalle ultime famiglie ebree del paese. I loro giovani parlavano yiddish-inglese perché i Satmar Hasidim (movimento chassidico di origine mitteleuropea ndr) erano gli unici autorizzati a entrare in contatto con quella comunità ebraica, i cui giovani venivano mandati nelle loro yeshivà di New York. Quello era – anche se allora non ne eravamo consapevoli – il centro del potere Houthi. Da lì scoppiò la guerra che li portò a conquistare gran parte dello Yemen settentrionale. Il costo della guerra è stato spaventoso. Su una popolazione di circa 34 milioni, 9,8 milioni di bambini si trovano in condizioni di grave crisi umanitaria. Circa 4,3 milioni sono profughi o sfollati. Una catastrofe auto-inflitta. Circa 400.000 persone sono state uccise nella guerra iniziata dagli Houthi. Il reddito pro capite è 2.000 dollari all’anno, l’aspettativa di vita è inferiore a 64 anni. La maggior parte degli yemeniti può solo sognarsi il tenore e la qualità della vita dei palestinesi nei territori controllati da Israele. Ma la condizione degli yemeniti non interessa al resto del mondo, quindi forse hanno bisogno di una guerra contro lo stato ebraico per attirare l’attenzione. Nell’attesa, possono morire di fame nell’indifferenza generale. E negli Stati Uniti, durante le grandi proteste contro Israele, ho sentito la folla gridare: “Yemen, Yemen, rendici orgogliosi, affonda un’altra nave”. Progressisti farneticanti? Senza dubbio. Dopotutto, sulla bandiera degli Houthi si legge: “Dio è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria all’islam”. Quindi, non importa che questo sia il movimento più oscurantista che il mondo abbia mai visto, che condanna la propria gente alla sofferenza e alla fame. Sono contro gli ebrei, quindi meritano sostegno. E c’è un fatto che viene ripetutamente e continuamente confermato, in ogni parte del mondo: ovunque regni l’islam estremista, che sia sunnita, sciita o zaidita (variante yemenita dell’islam sciita ndr), il risultato è sempre devastazione, sfacelo e spargimenti di sangue. Sebbene sia il paese più arretrato, povero, devastato e affamato del mondo arabo, ciò non riduce la sua capacità di combattimento. Fanno venire in mente Hezbollah e Hamas. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno combattuto contro la conquista dello Yemen da parte degli Houthi e non sono riusciti a sconfiggerli. Gli Emirati Arabi Uniti si sono ritirati. L’Arabia Saudita ha subito innumerevoli colpi, soprattutto alla sua industria petrolifera, e ha raggiunto un accordo di cessate il fuoco. Gli Stati Uniti, con mossa infelice, hanno rimosso gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Come si possa legittimare un’organizzazione la cui bandiera reca la dicitura “Morte all’America”, non è molto chiaro. In ogni caso, la maggior parte degli yemeniti soffre di costante carenza di cibo. Ma gli Houthi sono resilienti. Come per la maggior parte dei caposaldi dell’asse del male in Medio Oriente, è l’Iran quello che fomenta quasi tutte le organizzazioni terroriste e gli spargimenti di sangue nella regione. Il tempo dirà se l’attacco israeliano al porto di Al Hudaydah è servito a qualcosa. Nel considerare la questione, vale la pena ricordare come funziona la logica islamista: siamo disposti a subire noi stessi gravissimi danni fintanto che riusciamo a infliggere anche solo una piccola umiliazione al nemico. Non è chiaro cosa si dovrebbe fare dopo. È chiaro che non si sente la necessità di ingaggiare una guerra di logoramento con gli Houthi. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno già visto come va a finire. Non c’è motivo perché anche Israele faccia lo stesso. Gli scontri con i gruppi terroristici regionali non fanno altro che aiutare l’Iran. È necessario abbandonare il concetto di piccoli e gravosi confronti con questo tipo di nemico. Non fanno che logorare Israele. E non danneggiano il padrino generale, l’Iran. Forse si rende necessario infliggere un danno concreto alle esportazioni di petrolio iraniane, ad esempio all’isola di Kharg. Gli iraniani, attraverso gli Houthi, hanno fatto proprio questo all’Arabia Saudita. E l’Arabia Saudita ha ceduto. Forse è giunto il momento che Israele causi qualche danno in più all’Iran, pur senza precipitarsi in una guerra regionale. Ma l’esperienza di Israele con gli Houthi e Hezbollah dovrebbe averci già insegnato che prudenza e autocontrollo, protratti a lungo, non dissuadono affatto questo tipo di nemico, probabilmente fanno il contrario. Abbiamo già sperimentato l’approccio dell’autocontrollo e della moderazione, nell’illusione che potesse moderare i nostri nemici. E stiamo pagando un prezzo molto alto per questo. Non occorre insistere su un strada che alla fine ci costerà un prezzo ancora più alto. (Da: YnetNews, 21.7.24)

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