Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/07/2024, a pag. 1/27, con il titolo "I due presidenti", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Donald Trump termina la Convention di Milwaukee ostentando sicurezza sul ritorno alla Casa Bianca mentre Joe Biden è al centro di un drammatico negoziato nel partito democratico alla ricerca di una valida ricetta per rovesciare i sondaggi e battere il movimento “Make America Great Again”. Nella campagna elettorale delle sorprese l’America è teatro di novità a raffica che sfidano l’immaginazione creando una suspense che accomuna cittadini, Paesi alleati e leader avversari. Trump dal palco del Fiserv Forum assicura che dal primo giorno alla Casa Bianca bloccherà del tutto l’arrivo degli illegali, ricomincerà a scavare pozzi di petrolio e otterrà da Cina ed Europa concessioni economiche e commerciali tali da sanare le piaghe delle diseguaglianze che penalizzano milioni di americani. È l’annuncio di una svolta isolazionista capace di stravolgere l’America e scuotere il Pianeta, mettendo a rischio la leadership Usa costruita dal 1945 sulle alleanze. Ma ciò che a Trump più importa è convincere “il popolo dei dimenticati” ad abbandonare i democratici ed affidarsi solo ed unicamente a lui. Nel discorso più lungo di accettazione di una nomination in tempi moderni — 93 minuti — Trump ha detto con franchezza, e senza toni accesi, che punta a cambiare radicalmente il mondo in cui viviamo: vuole che il suo movimento dopo aver svuotato i repubblicani faccia lo stesso con i democratici, è determinato a spostare il baricentro della ricchezza globale da Cina e Baviera a Midwest e Monti Appalachi, ed è sicuro di poter costruire muri talmente invalicabili da fermare in maniera assoluta — per la prima volta nella Storia dell’umanità — il flusso dei migranti. Per non parlare della politica estera dove la declinazione del potere e dell’influenza dell’America viene affidata alla capacità personale del presidente di incutere talmente timore negli interlocutori — alleati o avversari — dapiegarne le resistenze, su ogni tavolo. A contare di più è che tale rivoluzionaria miscela di populismo, sovranismo e isolazionismo è fonte di un’energia politica che, sondaggi alla mano, oggi sembra destinata a prevalere nelle urne dell’Election Day. Perché contagia ogni Stato dell’Unione, rassicura gli anziani e fa breccia fra i giovani. Perché è una risposta, semplicistica ma immediata, alle ansie dominanti: povertà, guerre, disagio. Basterebbe tutto ciò a descrivere un orizzonte politico capace di mettere a soqquadro l’America — e non solo — ma è appena metà della sfida presidenziale perché sul fronte opposto è in corso in queste ore una drammatica resa dei conti che ha in palio l’identità stessa del partito democratico. Il presidente Joe Biden infatti sta tentando di barattare la rinuncia alla ricandidatura con la scelta di essere lui a indicare il successore: in Kamala Harris. Indebolito nel fisico, abbandonato da molti leader del partito, con i finanziatori in fuga e davanti a sondaggi che sembrano non dargli scampo, Biden sibatte per difendere ciò che di più importante gli è rimasto: la propria eredità politica. Per salvarla vuole affidarla a Kamala Harris, trasformandola da vice a erede. Ma i leader del partito, a cominciare da Nancy Pelosi e Chuck Schumer si oppongono con tutte le forze, per il semplice motivo che i sondaggi di Kamala sono peggiori rispetto a quelli di Biden. Vorrebbero al suo posto un governatore, donna o uomo, di nuova generazione. E Barack Obama, che ha inventato il ticket Biden-Harris, resta sullo sfondo forse a causa del ruolo potenziale di Michelle. Il risultato è spietato: a un mese dalla Convention di Chicago ed a undici giorni dalla scadenza per la formalizzazione della nomination i democratici sono divisi sul nome a cui affidare la sfida a Trump e di conseguenza sulla strategia elettorale. Vogliono battere Trump ma non hanno ancora deciso come provare a farlo. A meno di quattro mesi dall’Election Day il match per la Casa Bianca si presenta dunque come il più incerto che memoriaricordi con infinite incognite che ruotano attorno all’imprevedibilità dei due leader al momento sul palcoscenico: un presidente in pectore che vuole cambiare identità ed orizzonti dell’America ed un presidente in carica che tiene in scacco il suo partito e tutti coloro che vorrebbero sbarrare la strada a Trump. Dunque, tutto può ancora accadere ed ogni singolo giorno può fare la differenza. A conferma che la politica americana resta il più vibrante esempio di democrazia, dove i conflitti sono feroci, in gioco c’è sempre l’identità della nazione e nessuno dei contendenti si arrende prima di essere davvero sconfitto. Non c’è dubbio che ciò descrive un Paese pericolosamente in bilico dove la fragilità delle istituzioni non potrebbe essere più evidente ma è altrettanto vero che proprio la grinta con cui gli opposti protagonisti si battono ci dice che la democrazia resta ancorata lì dove è, da sempre, più unica e invincibile: nell’essere frutto del diritto di voto dei suoi cittadini.
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