Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/07/2024, a pag. 1/6, con il titolo "L’onda di rabbia del popolo Maga invade l’America", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Lotta senza quartiere agli immigrati illegali e ai prezzi alti: sono gli imperativi attorno a cui il movimento di Donald J. Trump lancia la sfida per tornare alla Casa Bianca, chiedendo agli americani di andare in massa alle urne per poter guidare una nazione che vuole imporre a chiunque nel mondo, dalla Cina all’Unione Europea, i propri interessi economici al fine di restituire al popolo dei diseredati «ciò che le élite e i nemici ci hanno tolto».
Dal palco del Fiserv Forum, Donald J. Trump ha lanciato nella notte la corsa verso l’Election Day del 5 novembre chiamando a raccolta i seguaci attorno ad un’agenda populista sui valori, sovranista sull’economia e isolazionista in politica estera che punta a raccogliere il voto di protesta di «tutti gli americani» come dice il candidato vicepresidente J.D. Vance. Con l’intento di strappare ai democratici il sostegno della classe media flagellata dalle diseguaglianze, che vive negli Stati in bilico, dagli Appalachi al Midwest, e serba ogni tipo di rancore verso «chi ha siglato l’accordo Nafta con Messico e Canada, consentito alla Cina di invadere il nostro mercato e ci ha portato in guerra in Iraq», come spiega Vance, nelle parole in cui si erge a paladino dei «forgotten men » – i dimenticati – flagellati da disagio, impoverimento, crimini degli illegali, prezzi alti, suicidi e dipendenza dagli oppiacei.
Cravatta rossa e pugno destro al cielo, l’ex presidente ricandidato è stato per tre giorni protagonista assoluto della Convention in una cornice di messaggi e immagini che hanno fatto precipitare nelle case di milioni di famiglie anzitutto un incubo: gli illegali. Mostrano una moltitudine di disperati che marciano verso la frontiera, entrano dai confini col Texas e nessuno vuole fermare. Con lo speaker sullo sfondo che parla di «criminali, violentatori, ladri e terroristi » che inondano città grandie piccole. “Build the Wall ” - costruisci il muro - ritma a squarciagola il parterre dei delegati, in un crescendo di emozioni che l’ex candidato presidente Vivek Ramaswamy esalta puntando l’indice in avanti: «Io, figlio di immigrati legali mi rivolgo a voi, immigrati illegali, e vi dico che vi prenderemo e cacceremo, e non perché siamo razzisti ma poiché avete violato la legge». Usare le forze dell’ordine e i militari per trovare ed allontanare dal Paese oltre 10 milioni di immigrati illegali - questo il numero totale stimato - è un progetto tanto ideologico quanto difficile da realizzare ma ai delegati di Milwaukee poco importa. Si tratta di «riprenderci il Paese» e «cacciare gli illegali» come dice Robert, 54 anni, venuto dalla Pennsylvania. Dal parterre si alzano decine di cartelli, stampati, con la scritta “Mass Deportation Now ” per rendere inequivocabile la richiesta: deportazione di massa subito. Steve Scalise, leader della maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, grida «Stop Biden Invasion», fermiamo l’invasione permessa da Biden e dalla sua vice Kamala Harris, a cui la Casa Bianca ha affidato il dossier immigrazione. «Ve l’ho sempre detto sono le parole di Nikki Haley, l’ex ambasciatrice all’Onu già rivale di Trump nelle primarie - votare Biden significa scegliere Kamala» ed aprire le porte all’«invasione che ci aggredisce». Il no agli illegali viene vissuto come l’impellenza di salvare la nazione in pericolo. Il governatore del Texas, Greg Abbott, lo dice alzando il pugno al cielo: «Bisogna triplicare il filo spinato lungo la frontiera con il Messico». E Kari Lake, candidata senatrice in Arizona, uno degli Stati più esposti ai migranti, tuona: «Biden apre il confine, li fa entrare perché vuole farli votare per strapparci l’America, per questo vi dico, dobbiamo essere Magaogni giorno, ci serve l’energia Maga». L’acronimo di “Make America Great Again ” - lo slogan di Trump - è sinonimo di difesa dai nemici più pericolosi.
L’altro “no” identitario del popolo di Trump è all’aborto. Sarah Hackabee Sanders, governatrice dell’Arkansas terra dei Clinton e già a capo del servizio stampa nella Casa Bianca di Trump, lo spiega parlando da mamma. È l’orgoglio di essere madre che genera il rispetto della vita, l’amore per Dio e il rifiuto dell’aborto che è la sua negazione. L’afroamericano conservatore Ben Carson cita la Bibbia per far capire che la separazione è fra credenti e non credenti: «La frase più spesso scritta nei Testi Sacri è non avere paura, e non dobbiamo averla» nell’arginare l’aborto «che non è un diritto perché uccide la vita». «Noi abbiamo Dio nel cuore e vogliamo Trump alla Casa Bianca» riassume Kristi Noem, combattiva governatrice del South Dakota, che si vanta di guidare l’unico Stato «che non ha chiuso le attività durante il Covid perché la libertà non ha prezzo e non può essere limitata». Essere No aborto e No Vax appartiene alla stessa narrativa: il recupero dei valori di Dio per un elettorato che si sente aggredito da chi «preferisce parlare di genere e razza al posto dell’identità americana» nelle parole di Ramaswamy.
Dentro e fuori il Fiserv Forum tutti pregano per qualcosa e per qualcuno: per Trump ferito nell’attentato di Butler, per le vittime dello sparatore sul tetto, per gli oltre mille poliziotti uccisi nell’ultimo anno, per donne e uomini in divisa, per i 13 soldati americani morti nel ritiro da Kabul «e dimenticati da Biden», per il bene della nazione. E soprattutto per ritrovarsi assieme, coltivare un’energia che può fare la differenza in campagna elettorale perché spinge a votare in massa. «Non avverrà come quattro anni fa – promette Trump, rilanciando i sospetti mai provati di brogli avvenuti nel 2020 – perché inonderemo i seggi e nessun trucco dei democratici potrà impedirci di vincere».
La pallottola dell’AR15 che ha mancato per un centimetro la sua testa sta lì a testimoniare - nel video che corre da un cellulare all’altro dei delegati - che nulla avviene per caso. Dio ha salvato Trump affinché Trump possa salvare la nazione. Se i delegati si fasciano l’orecchio destro – quello ferito di Trump – è per testimoniare che condividono anche il dolore fisico del leader. Nella narrazione della Convention il nome, il corpo e l’immagine di Trump dominano su tutto. Assenti i nomi degli altri presidenti repubblicani con le uniche eccezioni Abramo Lincoln perché abolì la schiavitù e Teddy Roosevelt che, benché ferito, continuò nel 1912 il discorso che stava pronunciando. Ma tutti gli altri sono stati cancellati. Non ci sono riferimenti alle battaglie del “Grand Old Party” del recente passato, dalle riforme economiche di Ronald Reagan alla vittoria nella Guerra Fredda firmata da Bush padre fino dalla lotta al terrorismo di George W. Bush dopo l’11 settembre. Per ilpopolo Maga quel partito repubblicano semplicemente non c’è più, svanito nel nulla, c’è solo Trump e il suo pugno destro alzato. Con l’orgoglio per quanto ha fatto, a cominciare dal «non aver mai iniziato una guerra». È il messaggio che il vice J.D. Vance incarna. L’ex marine in Iraq che non crede nella guerra, nell’esportazione della democrazia ed è fiero di Trump perché «Power is Peace », il potere è la pace. Nikki Haley lo dice così: «Putin ha invaso la Crimea quando c’era Obama e l’Ucraina con Biden, ma durante i quattro anni di Trump non si è mosso perché aveva paura di lui». Stessa lettura del Medio Oriente: «Dietro le guerre c’è l’Iran, Trump aumentò le sanzioni, uscì dal patto sul nucleare ed uccise il loro uomo più pericoloso Qassem Soleimani, e loro non si mossero, poi è arrivato Biden, li ha inondati di soldi, ha ripreso il negoziato sul nucleare, ha dialogato con loro e l’Iran ha aggredito Israele con Hamas il 7 ottobre, con Hezbollah, con i missili a grappolo e con gli Houthi minacciano il commercio globale». «Trump esercita il potere, dunque, evita le guerre» aggiunge Marco Rubio, senatore della Florida, rafforzando l’idea che «se il mondo è in fiamme la colpa è la debolezza di Biden».
Da qui l’offensiva, di frasi e immagini, contro la Cina, considerata da oratori e delegati come la minaccia più seria alla sicurezza nazionale perché usa l’arma del commercio per impoverire l’America. Se Vance non vuole combattere per l’Ucraina, se Trump promette di «porre fine al conflitto » prima ancora di insediarsi alla Casa Bianca è perché il nemico che più li preoccupa è la Cina di Xi Jinping che con le aziende, gli investimenti e la competizione sleale aggredisce l’economia americana e le vite di un popolo intero.
Da qui al terzo, e più deciso no, il passo è breve “Lower the Price” c’è scritto sui piccoli cartelli blu che ogni delegato sventola alla prima occasione.
I texani con il cappello da cowboy, quelli del West Virginia con il casco da minatore, gli hawaiani con le corone di fiori al collo e quelli dell’Ohio, in elegante completo a righe, gridano, cantano, ripetono all’infinito “Lower the Price” - abbassate i prezzi - perché la più onnipresente, massiccia, dilagante accusa ai democratici di Biden è averli fatto aumentare. I grandi schermi della Convention mostrano i video girati nei benzinai, dalla Louisiana all’Oregon, dalla Florida alla California, sulla differenza dei prezzi del carburante: erano 2 dollari al gallone (circa quattro litri) con Trump, sono diventati 5 dollari con Biden. La sovrapposizione fra i due prezzi si ripropone nei supermercati di ogni ordine, dimensione e città. Grandi e piccoli si avvicinano ai banchi della frutta, del latte o della carne facendo vedere i prezzi rossi (il colore repubblicano) del tempo di Trump e quelli blu (il colore democratico) arrivati con Biden. Le differenze sono nette, chi vede queste immagini - nell’arena o a casa – tocca con mano la piaga dell’inflazione che aggredisce la sicurezza economica e le speranze del ceto medio aggredito dalle diseguaglianze che negli anni Trenta con il “New Deal” di Franklin D. Rooseveltiniziò a votare democratico ma si è poi sentito tradito dal liberismo di Bill Clinton, dalle promesse mancate di Barack Obama e dall’inflazione di Biden. Al punto che Biden, pur vantando crescita economica e aumento dell’occupazione, diventa un “looser”, un perdente. L’intento è spingere i più poveri e disagiati a voltare le spalle ai democratici ed entrare anche loro nel movimento trumpista.
C’è però anche la promessa di Mike Johnson, lo Speaker della Camera dei Rappresentanti, che parla a grandi imprese e milionari: «Con noi i tagli fiscali diventeranno permanenti mentre Biden e Harris pianificano miliardi di nuove tasse ». Che sia vero o meno poco importa al popolo di Trump, il cui entusiasmo cavalca i tre no a inflazione, aborto ed immigrati illegali, promettendo all’America di «spegnere le fiamme del mondo » tornando ad essere «potente». È un messaggio che fonde sovranismo, isolazionismo, rabbia per la povertà e volontà di riuscire a invertire il corso della Storia, ridimensionando i diritti, dall’aborto a quelli di genere.
Respingendo chi vuole «tagliare i fondi alla polizia » come la sinistra radicale di Black Lives Matter.
È questa l’America di Trump che punta a tornare alla Casa Bianca, senza fare mai neanche un cenno all’assalto del 6 gennaio 2021 contro Capitol Hill, alla condanna penale del suo leader ed alle ferite causate ai principi della Costituzione. Il popolo Maga segue e guarda solo al proprio condottiero. Ed è con questo temibile avversario che i democratici, e non solo loro, devono fare i conti.
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