Riprendiamo da LIBERO di oggi 19/07/2024, a pag. 1/3, con il titolo "Il bidone verde", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Sbagliare è umano, perseverare è Ursula. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni della vecchia legislatura europea (sia pure poco, male, in ritardo e a questo punto possiamo concludere: senza crederci e senza volerlo davvero) a tentare di ridimensionare e transennare i devastanti effetti del “pacchetto Timmermans”, o comunque dopo aver raccontato agli elettori europei che in prima battuta si era esagerato con il gretinismo e che no, questo errore non sarebbe assolutamente stato commesso di nuovo, che ha fatto ieri la presidente uscente (e rientrante) della Commissione Ue? Con la stessa faccia e la stessa acconciatura di sempre, nel suo discorso di insediamento della nuova legislatura europea, è tornata alla casella di partenza senza fare un plissé e ha rilanciato pari pari il medesimo Green Deal con le sue assurde scadenze e gli inevitabili effetti di desertificazione industriale, di attacco ai posti di lavoro, di depauperamento del patrimonio delle famiglie e delle imprese europee.
Ecco la frase più emblematica: «Inseriremo il nostro obiettivo del 90% di taglio delle emissioni di gas serra per il 2040 nella nostra legge europea sul clima. Le nostre aziende devono pianificare già oggi i loro investimenti per il prossimo decennio. E non si tratta solo di affari».
OBIETTIVI IMPOSSIBILI
Morale: tutto il mondo va in direzione opposta; Cina e India continuano a bruciare carbone come se non ci fosse un domani; gli Usa sono da tempo avviatissimi su una strada di indipendenza (e sovrabbondanza) energetica.
Mentre l’Europa – in un colpo solo – si impicca a obiettivi impossibili; quand’anche li realizzasse, contribuirebbe in misura minima al raggiungimento di obiettivi globali compromessi dalle opposte scelte altrui; ma nel frattempo – in una serie di settori decisivi: si pensi solo all’automotive – decide volontariamente il proprio suicidio.
Non solo. Il saldo dell’operazione è autolesionistico ai limiti del masochismo anche nei confronti degli elettori dei 27 paesi membri. Ma come? Per tutta la campagna elettorale pre Europee (a partire dai popolari tedeschi!) le leadership politiche avevano giurato di archiviare l’ecofondamentalismo, e poi – un minuto dopo la chiusura delle urne – hanno approvato un programma improntato a quello stesso estremismo?
Tra l’altro, la maggioranza ottenuta dalla von der Leyen (401 voti) rende determinanti i voti dei verdi, i quali hanno immediatamente rivendicato il loro ruolo decisivo, autodefinendosi «quarta forza della maggioranza» (oltre a popolari, socialisti e macronisti) e hanno incentrato la loro comunicazione esattamente quel pilastro programmatico: «Abbiamo ottenuto impegni sul Green Deal».
E NOI PAGHIAMO
Poi è arrivata l’ulteriore, e a questo punto fondata, minaccia degli ecologisti: «Ma il nostro lavoro sta solo iniziando adesso. Dobbiamo far finire l’era dei combustibili fossili». Ovviamente a spese dei contribuenti, delle imprese, dei lavoratori e dei proprietari di case dei 27 paesi europei.
Non occorre un indovino per immaginare le future scene di questo film dell’orrore: rabbia tra i cittadini, rilancio delle formazioni di estrema sinistra (in chiave pro Green Deal) e di quelle di estrema destra (in chiave contraria: si pensi ad Afd che potrà ad esempio azzannare alla gola la Cdu tedesca dopo questo cedimento), e un declino industriale ed economico europeo che verrà ulteriormente accelerato e reso pressoché irreversibile. C’è del Timmermans in questa von der Leyen.
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