Mauro Zanon
«C’est le chienlit», direbbe Charles de Gaulle, l’architetto della Quinta Repubblica, nata nel 1958, che sta vivendo sotto la presidenza di Emmanuel Macron una crisi inedita e forse definitiva. L’inquilino dell’Eliseo, in risposta al trionfo del Rassemblement national di Marine Le Pene Jordan Bardella alle europee, aveva deciso la sera del 9 giugno di sciogliere l’Assemblea nazionale e di indire elezioni legislative anticipate per una «chiarificazione democratica». Ma si ritrova ora in una situazione di caos politico e istituzionale che nemmeno il più visionario dei politologi avrebbe potuto immaginare. «Il “Moi ou le chaos” di Emmanuel Macron è diventato “moi et mon chaos”», come ha scritto sul Figaro il saggista Alain Bauer.
Sono passati nove giorni dall’esito del secondo turno delle legislative, ma nessuna ipotesi di coalizione per provare a governare la Francia si è ancora stagliata all’orizzonte. Il Nuovo fronte popolare (Nfp), l’ammucchiata delle sinistre guidata dalla gauche radicale di Jean-Luc Mélenchon che ha ottenuto il maggior numero di deputati, si è dimostrata quella coalizione contronatura (le «sinistre irriconciliabili», le ha defini« te l’ex premier socialista Manuel Valls) che molti osservatori avevano evidenziato. Ieri, attraverso un comunicato, la France insoumise di Mélenchon ha annunciato la sospensione delle trattative con gli altri membri di Nfp sulla nomina del candidato premier. «Per il momento, non parteciperemo a ulteriori discussioni sulla formazione del governo fino a quando non sarà garantita una candidatura unica all’Assemblea nazionale e non si sarà svolta la votazione», si legge nel documento di Lfi, che accusa il Partito socialista (Ps) di essere all’origine dell’impasse. «Non preoccupatevi. Saremo all’altezza della situazione e non tradiremo», ha risposto Olivier Faure, primo segretario del Ps e tra i nomi avanzati dai socialisti per salire a Matignon.
Nel weekend, era emerso il profilo di Huguette Bello, presidente del Consiglio regionale della Réunion, proposta dai comunisti con l’appoggio dei mélenchonisti e degli ecologisti, ma non del Ps. «Anch’io sono un francese di sangue misto. Ho mosso i miei primi passi alla Réunion e conosco Huguette Bello da molto tempo. C’erano molti elementi a suo favore. E poi c’erano altri fattori che erano meno a suo favore.
C’erano socialisti che ritenevano, e a ragione, che il partito che aveva vinto le elezioni europee a sinistra fosse il Partito socialista. Il partito che ha avuto più slancio in queste elezioni legislative, che ha aumentato il suo gruppo del 110%, è stato il gruppo socialista», ha dichiarato Faure.
Ma la guerra di ego che sta sgretolando il Nuovo fronte popolare non è meno spietata all’interno della macronia.
Il risultato deludente della maggioranza presidenziale alle legislative, tra le altre cose, ha fatto esplodere sulla pubblica piazza la rivalità tra i due Rastignac del governo, l’ambiziosissimo Gabriel Attal, ormai ex premier (oggi saranno ufficiali le dimissioni), ma neo capogruppo di Renaissance all’Assemblea nazionale, e Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno che sogna un destino alla Sarkozy. Venerdì, Macron, guardando negli occhi Attal e Darmanin, ha deplorato lo «spettacolo disastroso» offerto ai francesi durante la campagna elettorale, invitandoli a dare priorità alla «nazione piuttosto che alle ambizione premature». «Non potete fare quello per cui avete criticato gli altri prima di arrivare al potere», avrebbe detto l’inquilino dell’Eliseo.
La battaglia tra Attal e Darmanin è la battaglia tra chi dei due sarà l’erede di Macron: entrambi cercano di forzare il loro destino, approfittando di un presidente indebolito. Il ruolo di capogruppo di Renaissance è sicuramente una posizione strategia per Attal, perché si affermerebbe, a soli 35 anni, come il leader della maggioranza uscente. Ma Darmanin, da parte sua, non ha alcuna intenzione di cedere i riflettori al giovane macronista, dopo aver digerito lo scorso gennaio la sua promozione a capo del governo. In un messaggio inviato a tutti i deputati di Renaissance, il ministro dell’Interno ha sottolineato «i problemi» che vede nella «linea politica e nel funzionamento» del partito.
Ma al di là delle ambizioni personali, sono due linee politiche a scontrarsi, figlie della mancata compattezza data da Macron alle sue truppe. Alcuni giorni fa, è stato un pezzo da novanta della macronia come Gilles Le Gendre, ex capogruppo della République en marche all’Assemblea nazionale e macronista della prima ora, a dire le cose come stanno. «Il macronismo è finito», ha detto Le Gendre, sottolineando che la «sola coalizione che esiste oggi» è quella «contro il presidente» e che il macronismo «come forza di trasformazione del Paese nel quadro di un programma coerente è finito».
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