Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/07/2024, a pag. 1/29, con il titolo "Da Atlanta a Butler, tutto è cambiato", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Nei sedici giorni trascorsi dal dibattito di Atlanta all’attentato di Butler la campagna presidenziale americana si è trasformata nello specchio spietato di una grande democrazia in pericolo. Perché la fragilità fisica del presidente Biden dimostrata sugli schermi della Cnn e la violenza politica che ha investito lo sfidante Donald Trump su un prato della Pennsylvania convergono nel generare timori e instabilità che fanno sentire gli americani in una situazione di bilico. Una nazione abituata ad aspettare, ogni quattro anni, le “sorprese d’ottobre” come gli eventi decisivi per la sfida sulla Casa Bianca deve prendere atto che ogni settimana oramai può fare la differenza e siamo ancora a ben quattro mesi dal voto.
La scelta del ventenne Thomas Matthew Crooks di sparare da un tetto di Butler contro il candidato repubblicano alla Casa Bianca evoca il precedente di Dallas 1963 in cui venne ucciso il presidente John F. Kennedy e ci dice quanto la violenza politica sia diffusa. Non sappiamo ancora perché Crooks volesse uccidere Trump — se ha agito da solo o se altri lo hanno spinto a farlo — ma un cecchino contro un leader politico alla vigilia della Convention repubblicana di Milwaukee è un evento drammatico nella corsa alla presidenza, al punto da far temere una stagione di violenze. Per il semplice fatto che si innesca nell’atmosfera di delegittimazione reciproca fra gli opposti schieramenti iniziata con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 da parte dei più aggressivi sostenitori dello stesso Trump che non volevano riconoscere la vittoria nelle urne di Biden. Linguaggio e narrativa della grande maggioranza degli sfidanti in lizza nell’Election Day del 5 novembre — quando si voterà per Casa Bianca e Congresso — hanno finora messo in evidenza accuse e offese che vanno ben oltre il più aspro duello politico perché puntano a delegittimare l’avversario in quanto tale, come un “pericolo per la democrazia”. È una sfida che imprigiona la Repubblica americana nella logicadegli opposti estremismi, impedendo alla campagna elettorale di convergere al centro nella sua fase finale, come avveniva in passato, per proporre soluzioni il più possibile inclusive. Le parole pronunciate sabato sera da Joe Biden e ieri da Donald Trump contengono importanti inviti alla ragionevolezza, all’unione ed alla moderazione, denunciando la violenza politica, ma saranno solo le prossime settimane a dirci se non arrivano troppo tardi. Ad aggravare la situazione infatti c’è la constatazione che per gran parte dei cittadini si tratta di due leader non più tali in ragione di fatti di pubblico dominio: il disprezzo per la Costituzione americana da parte di Trump, l’estrema fragilità fisica di Biden.
Entrambi fanno di tutto per negare tali vulnerabilità ma sono oramai consolidate in vasti settori della popolazione, al punto da non farli essere più credibili come “commander in chief”. È proprio questa diffusa assenza di fiducia in chi guida i due tradizionali schieramenti politici a generare una situazione di incertezza che consente agli estremisti di poter ambire al palcoscenico nazionale.
Non è un caso che il timore di episodi di violenza serpeggi anche fra i democratici in vista della Convention di metà agosto a Chicago perché il bruscocalo di fiducia in Biden preannuncia un partito lacerato come quello che nel 1968 vide, sempre a Chicago, un’assise contestata che lo condannò alla sconfitta con i repubblicani di Richard Nixon.
Nell’immediato l’interrogativo è se l’impatto degli spari di Butler può essere decisivo a favore di Trump. Lo stratega elettorale democratico Brad Bannon prevede “un effetto simpatia a favore di Trump perché è lui la vittima ed anche perché l’attentato rafforza la narrativa repubblicana sul fatto che qualcosa nel Paese non funziona”. Sulla carta l’opportunità dunque è reale ma dipenderà in primo luogo dallo stesso Trump perché per coglierla deve riuscire nell’impresa di ridefinirsi ovvero dimostrare di essere inclusivo, di voler unire la nazione.
Vi sono però anche altre variabili che possono pesare sul corso degli eventi. Prima fra tutti la scelta dei democratici perché con un nuovo candidato al posto di Biden potrebbero rivoluzionare la campagna e tornare in partita. Poi c’è lo spettro della violenza: se dovesse moltiplicarsi, in qualsiasi declinazione, lo scenario diventerebbe più buio per tutti con conseguenze difficili da prevedere. Come afferma il funzionario repubblicano Chip Felkel della South Carolina, “se la nazione non era già un barile di polvere prima, lo è diventata adesso”. E su questo pericoloso fronte è bene tener presente che dall’assalto a Capitol Hill gli atti di violenza politica avvenuti sono stati ben 14, ovvero il numero più alto dagli anni Settanta. Senza contare gli allarmi lanciati da Nancy Pelosi, ex Speaker della Camera dei Rappresentanti, e da Avril Haines, direttore nazionale dell’intelligence, sulle ingerenze di attori russi, cinesi e iraniani per sostenere e moltiplicare le più aggressive proteste pro-Hamas nei campus.
Insomma, se gli ultimi sedici giorni hanno stravolto la campagna elettorale e fanno sentire l’America in bilico, i prossimi quattro mesi contengono le incognite maggiori. E ciò che avviene in America riguarda ognuno di noi.
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