Riprendiamo da LIBERO di oggi 14/07/2024, a pag. 1/6, con il titolo "Serracchiani s'indigna perché Toti scrive", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Un politico abile può riuscire a nascondere molte cose, ma non - in qualche momento improvvisamente rivelatore - i suoi istinti più profondi: spirito liberale o invece animo settario, tensione garantista o al contrario riflesso giustizialista.
E così, come uno sparo nel buio, un orrendo tweet di Debora Serracchiani, primissima fila della dirigenza Pd, l’ha tutt’a un tratto mostrata al naturale: sotto il trucco dem, l’antico profilo comunista; dietro la maschera progressista, un cupo istinto manettaro.
Giudicate voi queste parole dell’esponente piddina, riferite alla lettera inviata da Giovanni Toti al suo avvocato: «Un indagato agli arresti domiciliari con divieto di comunicazione esterna con qualsiasi mezzo (telefonia fissa o mobile, email, social network), può lanciare papelli a mezzo stampa? Chiedo per un amico...».
Lasciamo da parte l’imperdonabile infamia del termine “papello”, solitamente riferito ai documenti dei capi mafiosi (il famigerato papello di Totò Riina), e che invece qui viene allegramente usato per il messaggio di un cittadino incensurato e stravotato dagli elettori liguri. Ma, cadute di stile a parte, sono almeno quattro le conclusioni che occorre trarre dalla infelice sortita dell’alto papavero dem. La prima ha a che fare con le priorità: dunque, per Serracchiani, il problema prioritario non è il protrarsi delle misure cautelari a carico di una persona che ancora deve essere sottoposta a processo, e nemmeno le motivazioni a dir poco discutibili fornite dal Tribunale del Riesame. No, la Serracchiani si duole per il fatto che Toti non sia (o non sia stato) completamente imbavagliato, che ancora osi parlare, perfino che scriva al suo avvocato, e che quest’ultimo non sia costretto a vivere in clandestinità o a indossare un passamontagna.
Per anni – ed era sacrosanto che potesse farlo – un condannato come Adriano Sofri ha tenuto rubriche e corrispondenze sui giornali italiani, e continua a farlo: ma l’indagato Toti deve essere murato vivo.
La seconda: ma come, la nostra Costituzione, per il Pd, non era «la più bella del mondo»? O forse - solo per Giovanni Toti - sono già stati aboliti l’articolo 21 della Carta (libertà di pensiero e d’espressione), l’articolo 15 (libertà della corrispondenza) e l’articolo 27 (presunzione di innocenza)?
La terza: la verità è che Toti li sta facendo impazzire. Non solo perché, rifiutando la logica da processo stalinista, non si autoaccusa di colpe non commesse, e soprattutto non si dimette. Ma anche perché, con sapienza giornalistica, per la seconda volta almeno nell’arco di due mesi, è stato lui a “dettare l’agenda”, ribaltando quella della procura e rifiutando di vestire i panni della vittima sacrificale. Qualche settimana fa aveva diffuso un suo memoriale, di fatto rendendo note le proprie tesi difensive. E stavolta, attraverso una lettera al suo avvocato, ha trovato il modo di far conoscere nuovamente la sua opinione, pur essendo ancora costretto agli arresti domiciliari. Così facendo, Toti ha smontato la regola fondamentale del “processo mediatico”, quella per cui possono circolare solo le tesi dell’accusa, mentre l’indagato deve tacere e subire - muto- il rituale di degradazione.
La quarta e ultima considerazione ha a che fare con l’ormai consueto e insopportabile doppio standard della sinistra. Nel periodo di (ingiusta) carcerazione preventiva in Ungheria di Ilaria Salis, ogni giorno, tramite suo padre, gli italiani avevano modo di conoscere le parole e i sentimenti della futura onorevole.
E in quella fase nessuno si era certo lamentato di quella opportunità di comunicazione: meno che mai a sinistra, dove già progettavano di portarla in processione come una madonna pellegrina. E invece per Toti si inalberano, chiedono che sia imbavagliato, e scattano come Vopos (anzi, come agenti della Stasi) della vecchia Germania Est: chiara la differenza?
Comunque, la bella notizia di ieri- occorrerà pur consolarsi in qualche modo - è che la Serracchiani è stata travolta dai suoi stessi followers, sdegnati per il tweet manettaro. Raccolgo qui fior da fiore.
«Deve vergognarsi», sintetizza @LucaPellegri. Incalza @giorgiocmascione: «Ma vi rendete conto di cosa scrivete? Volete anche la lapidazione in piazza prima di un regolare processo che sentenzi un giudizio di colpevolezza?». Aggiunge @aldebaran1973: «E la Salis che ai domiciliari in Ungheria faceva i video con il bracciale elettronico in bella mostra?». Sferzante @simona45104788, che fa riferimento alla mobilitazione del Pd per Alfredo Cospito: «Giusto! Molto meglio andare a ‘salutare’ i boss del 41 bis in carcere». Segue l’emoticon che raffigura un pagliaccio e il doppio hashtag #ipocriti e #comunisti. Implacabile anche @gaescaf: «Che sciacalli che siete». Molto interessante @ctruffi, un ex iscritto dem: «Agli arresti perché non ammette la colpevolezza. Motivazione folle e contro ogni banale garanzia di presunzione di innocenza. Debora, un Pd manettaro non lo voglio vedere, accidenti. Non è il Pd cui ero iscritto e vorrei iscrivermi di nuovo». Stessa musica da @bettibi7847: «Un magistrato può dichiarare che ‘Toti non ha compreso la gravità del reato che ha commesso’?
Che ha commesso, non di cui è accusato! Chiedo per me, ex votante Pd e pure simpatizzante della Serracchiani quando non era giustizialista, o almeno così pareva...».
Chiude il cerchio un sacrosanto tweet del collega Augusto Minzolini: «Cara Debora, la violazione delle norme che poni sono una pulce rispetto all’elefante che sono le violazioni costituzionali (Cassese docet) del caso Toti.
E in questi casi è meglio non avere visioni di parte perché nessuno sa cosa ci riservi il domani». Come a Wimbledon: gioco, partita, incontro.
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