Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/06/2024, a pag. 1/I, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Arcobaleno strabico".
Giulio Meotti
“Non è un segreto che non solo Hamas, ma l’intera cultura palestinese disprezzi e punisca le persone lgbt”, scrive il Nobel per la Letteratura Herta Müller. “Anche solo una bandiera arcobaleno a Gaza è inimmaginabile. L’elenco delle sanzioni previste da Hamas per i gay va da almeno cento frustate alla condanna a morte”. Eppure, non c’è mai stata tanta confusione sotto il cielo arcobaleno italiano su Israele e Gaza.
Il 23esimo Pride di Milano chiede il “cessate il fuoco immediato a Gaza”. Dovrebbe essere presente anche la comunità palestinese. Alice Redaelli, presidente di Cig Arcigay Milano, dice che “quella della comunità palestinese sarebbe benvenuta come lo è qualunque realtà che si schiera con i diritti lgbtq+ e i diritti umani”. Umani sì, lgbt no.
“Pride romano indecoroso oltre tutto” a Roma. “Contro le strutture oppressive e l’etero-capitale che plasmano la società. Un Pride dal basso, transfemminista, antifascista, anticapitalista e senza sponsor”. Si richiede una presa di posizione decisa sulla Palestina: “Come persone queer e transfemministe respingiamo con forza qualsiasi strumentalizzazione delle nostre istanze per coprire il genocidio palestinese e le pulsioni islamofobe. Alla retorica della contrapposizione tra la democrazia scintillante dei diritti civili e la barbarie, rispondiamo affermando che l’unica contrapposizione che vediamo è quella tra uno stato oppressore e un popolo oppresso da decenni”. Non una parola sull’oppressione di Yahya Sinwar, che aveva anche la sua “polizia morale” per spiare le abitudini sessuali dei palestinesi di Gaza (e tagliare teste di chi deviava dalla sharia). Al Bergamo Pride “non saranno tollerate bandiere israeliane”. Così l’amministrazione di Bergamo, a guida Pd, ha dovuto togliere il patrocinio. Anche il Cassero, storico centro lgbt di Bologna, si schiera contro Israele (“no pride in genocide”). E l’artista Johanna Toruño, per il progetto di “manifesti transfemministi e queer”, incide “Free Gaza” sui muri delle strade della città che ha appena accolto Judith Butler, la papessa del gender. Gaza libera da chi? Israele non la occupa più dal 2005. Peccati di omissione, uno dei tanti.
“Genocidio e propaganda” è il titolo di un convegno all’Università per stranieri di Siena, che chiede di superare Israele in uno stato binazionale. Quando il magnifico rettore, Tomaso Montanari, ha deciso di sospendere le lezioni in occasione del Ramadan, lo ha fatto annunciando un convegno sulla società queer. “Una coincidenza felice”, scriveva Montanari, “la queerness è la scelta di abitare sulla soglia delle identità, accettando di esprimere di volta in volta quella che si desidera”. Bisessuali in uno stato binazionale. “Il nostro Pride è dalla parte del popolo palestinese”, dice il Pride di Torino. “Le persone queer sono ovunque, anche a Gaza sotto le bombe”, fa sapere il Pride di Padova. E mentre in Israele si svolgeva l’unico Pride dal nord Africa a tutto il medio oriente, a Berlino si apriva il processo a una cellula islamista che voleva attaccare l’unica moschea aperta agli lgbt di Berlino (accusata di “islamofobia” dagli lgbt) e in Afghanistan i Talebani prendevano a cinghiate in pubblico 63 “peccatori”, fra cui quattordici donne, per “relazioni immorali” e “sodomia”. E qui servirebbe un cessate-le-frustate.
Da qualche parte negli scantinati della vecchia ambasciata americana deve esserci ancora una bandiera arcobaleno. Sembra che fosse l’unica di tutto l’Afghanistan. Felice sottomissione a tutte/i.
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