Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Herb Keinon tradotto da Jerusalem Post dal titolo "Riconoscimento dello stato palestinese, politiche interne e il lato sbagliato della storia".
Conoscendo i precedenti, ben presto Hamas ringrazierà pubblicamente la Slovenia, cosa che dovrebbe dare agli sloveni un buon motivo di fermarsi. Perché? Perché se un’organizzazione terrorista assassina, che otto mesi fa ha scatenato una guerra trucidando circa 1.200 persone in Israele e prendendone in ostaggio altre 240 persone, ti ringrazia calorosamente significa che sei dalla parte sbagliata della storia. Una nota di ringraziamento a parte di Hamas è simile alla lettera di apprezzamento che la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha inviato agli studenti universitari americani che protestano contro Israele nei campus: più un marchio d’infamia che un distintivo d’onore. Le parole di apprezzamento da parte di gruppi terroristici o regimi terroristici non sono il tipo di riconoscimento che la maggior parte delle persone e dei paesi desidera. Eppure questo è esattamente ciò che la Slovenia deve aspettarsi, dopo la decisione di riconoscere unilateralmente uno stato palestinese. Così facendo, la Slovenia è diventata il quarto paese europeo che, dopo il 7 ottobre, ha deciso di ricompensare Hamas per le sue atrocità riconoscendo uno stato palestinese, una scelta che è già stata fatta il mese scorso da Norvegia, Spagna e Irlanda. Alcuni altri paesi europei, come Malta e Belgio, potrebbero presto seguire l’esempio. Ciascuno di questi paesi negherà più e più volte che la mossa costituisca una ricompensa per il terrorismo. Si affanneranno a spiegare che è una mossa volta a promuovere la pace. Ma andate a dirlo a Hamas, per la quale la pace con Israele è letteralmente il contrario di tutto ciò che vuole e che rappresenta. Il massacro del 7 ottobre non aveva lo scopo di promuovere la realtà dei due stati, ma quello di innescare un processo che portasse all’estirpazione dello stato ebraico. Hamas non vuole uno stato palestinese che conviva accanto a Israele. Vuole uno stato palestinese “dal fiume al mare” che cancelli ogni spazio per Israele. Tuttavia, in seguito al riconoscimento di uno stato palestinese da parte di Norvegia Spagna e Irlanda, Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: “Consideriamo questo un passo importante verso l’affermazione del nostro diritto alla nostra terra” (attenzione: “un passo importante verso…”), ed esorta gli altri paesi nel mondo “a riconoscere i nostri legittimi diritti nazionali”. L’alto funzionario di Hamas Bassem Naim ha detto, citato da AFP: “Questi successivi riconoscimenti sono il risultato diretto della coraggiosa resistenza e della leggendaria fermezza del popolo palestinese. Crediamo che questo rappresenterà un punto di svolta nella posizione internazionale sulla questione palestinese” (attenzione: “sono il risultato diretto…). A livello pratico, questi atti di riconoscimento hanno scarso impatto. Da quando il presidente dell’Olp Yasser Arafat dichiarò unilateralmente uno stato palestinese nel 1988, nel pieno della prima intifada, 147 dei 193 stati membri dell’Onu hanno riconosciuto la “Palestina”, buon ultima la Slovenia. Questi riconoscimenti non hanno minimamente contribuito a rendere reale l’esistenza di uno stato palestinese. Centoquarantasette stati delle Nazioni Unite possono chiamare arancia una mela, ma la mela resta una mela. Perché possa nascere un vero stato palestinese e diventare qualcosa di più di un semplice nome sulla targhetta di un oratore all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è necessario l’accordo e il consenso di Israele. Anche con tutta la pressione del mondo, sono innanzitutto gli israeliani che devono essere d’accordo. E il riconoscimento unilaterale di un tale stato da parte di Slovenia, Spagna, Norvegia e Irlanda non avvicinerà questo risultato. Al contrario. Mosse come queste avranno molto probabilmente l’effetto esattamente opposto, rafforzando negli israeliani la sensazione di isolamento, di non essere capiti e di non potersi affatto fidare di un mondo che “è tutto contro di noi”. Una sensazione che non farà altro che irrigidire un’opinione pubblica già molto scettica riguardo a uno stato palestinese. Secondo un sondaggio Pew condotto a marzo e pubblicato la scorsa settimana, solo il 19% degli ebrei israeliani crede che uno stato palestinese possa coesistere pacificamente a fianco dello stato israeliano. E’ il livello minimo di fiducia registrato tra gli ebrei israeliani da quando il Pew ha iniziato a porre questa domanda nel 2013: significativamente inferiore rispetto al 32% di un sondaggio pubblicato appena due settimane prima del 7 ottobre, che a sua volta era inferiore rispetto al 46% di ebrei israeliani che nel 2013 credeva nella possibilità che uno stato palestinese possa convivere pacificamente a fianco dello stato ebraico. Se si includono nel totale anche gli arabi israeliani, nel 2013 ben il 50% degli intervistati riteneva che la soluzione a due stati potesse funzionare, mentre oggi quella percentuale è scesa al 26%. Non è necessario essere un brillante sociologo o politologo per capire il perché: se la creazione di un mini-stato palestinese a Gaza – che era in pratica la realtà di quella fascia costiera da quando Israele si era ritirato nel 2005 – ha portato al 7 ottobre, a cosa porterebbe la creazione di uno stato palestinese che comprendesse anche Giudea e Samaria (Cisgiordania)? Non basta. I riconoscimenti unilaterali, e dopo il 7 ottobre, dello stato palestinese sono un boomerang anche dal punto di vista delle simpatie politiche degli stati che lo fanno, giacché la sensazione che “il mondo intero non ci capisce ed è contro di noi” ha anche un impatto politico interno: un fattore che può aiutare a spiegare una certa risalita del primo ministro Benjamin Netanyahu nei recenti sondaggi d’opinione. Il sondaggio settimanale di Maariv sulle intenzioni di voto attribuiva al Likud 19 seggi il 17 maggio e 22 seggi il 31 maggio. Cosa è accaduto tra il 17 e il 31 maggio? La Corte Penale Internazionale ha chiesto mandati di arresto a carico di Netanyahu e del ministro della difesa Yoav Gallant, la Corte Internazionale di Giustizia ha chiesto a Israele di cessare (o limitare) le operazioni anti-Hamas a Rafah, e Irlanda Spagna e Norvegia hanno unilateralmente riconosciuto un palestinese stato. È una coincidenza che i voti potenziali per Netanyahu siano aumentati proprio in quel periodo? Probabilmente no. Ma il riconoscimento dello stato palestinese non ha un impatto solo sulla politica interna israeliana. E’ anche il prodotto della politica interna dei paesi che lo fanno. I governi europei che riconoscono uno stato palestinese proprio adesso, dopo il 7 ottobre, lo fanno nel contesto dei loro interessi politici e tenendo conto dei loro elettori. Sono mosse vane che creano solo antagonismo verso Israele e non fanno nulla di concreto per promuovere la pace. Al contrario, riconoscendo unilateralmente uno stato di cui indicano addirittura i confini – come ha fatto la Spagna – non fanno altro che rendere molto più difficili i necessari negoziati futuri fra le parti. Perché mai i palestinesi dovrebbero scendere a compromessi sulle loro pretese massimaliste se diversi stati europei hanno già affermato che condividono la loro posizione? I governi europei sanno che la mossa è solo simbolica, e che serve solo a suscitare l’ostilità di Israele e a complicare le relazioni bilaterali. Ma Spagna, Irlanda, Norvegia e ora la Slovenia fanno questo passo tenendo d’occhio la loro politica locale: corteggiano i loro elettori nella convinzione che questo sia un modo abbastanza economico per tenersi buoni gli alleati e assicurarsi le amicizie politiche di cui hanno bisogno. La vecchia battuta di Henry Kissinger secondo cui Israele non ha una politica estera ma solo una politica interna, vale molto di più per questi altri paesi. (Da: Jerusalem Post, 5.6.24)
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