Una giornata vissuta pericolosamente. L'evento di Setteottobre al teatro Franco Parenti
Verità sul conflitto israelo-palestinese
Testata: Informazione Corretta
Data: 07/06/2024
Pagina: 1
Autore: Stefano Magni
Titolo: Una giornata vissuta pericolosamente. L'evento di Setteottobre al teatro Franco Parenti

Una giornata vissuta pericolosamente: l'evento di Setteottobre al teatro Franco Parenti
Commento di Stefano Magni

Da non crederci, ma anche per entrare al teatro Franco Parenti di Milano, ad assistere ad una conferenza dell’associazione Setteottobre, devi passare attraverso a sbarramenti di carabinieri, consegnare i documenti, entrare in un ambiente controllato da agenti e ispezionato da cani anti-esplosivi. Questo è il clima di guerra in cui viviamo: per una conferenza, le autorità hanno dovuto chiudere tutta la via Pier Lombardo, dove si trova il teatro, con due cordoni di carabinieri in tenuta antisommossa. Ed è un timore giustificato perché, puntualmente, i tafferugli ci sono stati. Al grido di “Oggi a Milano muore un teatro, boicottiamo il Parenti”, i collettivi, a partire dal solito Cambiamo Rotta, hanno protestato fuori, tenuti a bada dagli sbarramenti di forze dell’ordine. “Il teatro Franco Parenti nasce per un dibattito sano – risponde Andrée Ruth Shammah, la direttrice del teatro, prima dell’inizio della conferenza - È impensabile che io abbia la polizia a destra e sinistra con gli scudi per approfondire un argomento”.

Intanto, in un teatro pieno come un uovo (posti a sedere terminati prima dell’inizio della conferenza, gente in piedi o seduta sui gradini) avevamo l’occasione di vedere e sentire dal vivo tre personaggi noti a chiunque si interessi di Israele: Hillel Neuer, direttore di UN Watch (l’Organizzazione non governativa che monitora l’attività dell’Onu su Israele), Eylon Levy, già portavoce del governo israeliano e Rawan Osman, siro-libanese, fondatrice di Arab Asks, un programma per far conoscere ebrei ed ebraismo agli arabi, per smentire le leggende antisemite.

Stefano Parisi, presidente di Setteottobre ritiene fondamentale resistere alla pressione della piazza per affermare la verità, ospitando persone che rischiano davvero la loro vita per la loro attività. E ricorda che il 7 Ottobre non è solo attacco a Israele. “Se non vinciamo questa guerra, i prossimi nella lista di Hamas siamo noi”. Eppure viviamo in un Occidente remissivo che lascia che il Qatar si compri squadre, quartieri interi, media, università. Mentre i ragazzi che combattono a Gaza stanno lottando anche per noi.

Christian Rocca, il direttore de Linkiesta, al Franco Parenti era in veste di moderatore. Nella sua breve introduzione si è soffermato soprattutto sulla narrazione malata su Israele, militante e gonfia di antisemitismo. I media usano due argomenti sovrapposti e volutamente confusi: la critica al governo Netanyahu (per qualsiasi cosa succeda) e la messa in discussione dello Stato di Israele. Le critiche a Netanyahu diventano un cavallo di Troia per far accettare la delegittimazione Israele, accusato di genocidio. Ma è l’intento di chi distorce l’informazione ad essere fondato su un vero intento genocida, nei confronti degli ebrei di Israele.

Hillel Neuer, che si definisce “l’uomo più interrotto all’Onu”, ora finalmente libero di parlare senza che nessuno gli parli sopra, premette che tutti noi siamo colpiti da disinformazione cinese, corruzione russa, corruzione dal Qatar. Ogni dittatura si sta comprando la sua fetta di Occidente. Quando il 7 Ottobre c’è stato, sono stati pochi i leader che hanno riconosciuto la gravità di quanto era accaduto: Biden e Sunak soprattutto. Ma per il 75mo anniversario della Carta dei Diritti, una risposta alla barbarie, ci attendevamo di ascoltare qualche parola di condanna al pogrom del 7 Ottobre alle Nazioni Unite. Ma troppi, all’Onu non hanno parlato chiaramente, a partire da Guterres: condanna Hamas, ma “niente avviene dal nulla”. Stava di fatto giustificando Hamas. D’altra parte, che scuola hanno frequentato i terroristi del 7 Ottobre? Nel 90% dei casi, scuole dell’Unrwa (quindi dell’Onu), a imparare l’odio generazione dopo generazione. Con tutti i soldi degli aiuti internazionali, i palestinesi potevano ricostruire Gaza come una seconda Dubai, ma non hanno alcun interesse a farlo: non pensano nemmeno a Gaza come a casa loro, pensano che la loro casa sia in Israele. E lo imparano dall’Unrwa, per colpa dei programmi approvati dall’Onu. Spesso si pensa alle istituzioni delle Nazioni Unite come luoghi abitati da saggi super-partes. Nulla di più lontano dal vero. Il Consiglio per i diritti umani non è composto da santi e filosofi, ma da Gheddafi, dal Partito comunista cinese, da Cuba, Vietnam, Afghanistan, da Putin, dal Venezuela: sono stati, o sono tuttora, suoi membri regolari. Adesso ne fa parte l’Iran, pur con tutti i crimini che sta commettendo contro i suoi stessi cittadini. Una dissidente cinese invitata da UN Watch, ha portato un foglio bianco (come nella protesta degli studenti) e si è trovata di fronte ai suoi persecutori che sedevano sui banchi del Consiglio dei diritti umani. Questa è l’ONU. I musulmani vengono internati in massa in Cina, costretti a bestemmiare e a rinnegare la loro religione, ma nessuna risoluzione è stata emessa e quel genocidio (vero) non provoca neanche alcuna protesta. Hillel Neuer intende indagare a fondo su Francesca Albanese, l’inviata speciale dell’ONU nel Medio Oriente: “È l’opposto di quel che dovrebbe essere un esperto, la meno obiettiva e la meno imparziale nel mondo”, arriva a dire cose come “L’America è soggiogata dalla lobby ebraica” e suo marito lavora per l’Autorità Palestinese. UN Watch sostiene che Albanese abbia violato il codice di condotta delle Nazioni Unite richiedendo illegalmente pagamenti per il lavoro svolto in veste ufficiale. Il gruppo di vigilanza sostiene che Albanese abbia aggirato il divieto di accettare compensi, facendo pagare gli onorari al suo assistente di ricerca. Anche questa è l’ONU. (per il dossier, vedi anche: https://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=16&sez=120&id=94691)

Rawan Osman, siro-libanese, ma con cittadinanza tedesca, racconta come l’odio per gli ebrei, nel mondo arabo (non solo in Libano) si respiri ovunque, ne è stata immersa sin dalla prima infanzia. Gli ebrei israeliani sono i “nemici speciali”. Per un tweet filo-israeliano si finisce in galera. In Iraq avviene lo stesso: Miss Iraq per un selfie con Miss Israel, ha subìto la revoca della cittadinanza. Viene vietata ogni conoscenza, ogni contatto. E la società libanese in cui la Osman è cresciuta, per altro, era anche abbastanza laica. Restano le cicatrici profonde della guerra civile (1975-90). Ma tutti sono uniti in una causa: contro Israele. Che vedono come nemico di tutte le cause arabe. Vogliono l’indipendenza da Israele: ma sono tutte menzogne. Hezbollah uccide e intimidisce tutti gli oppositori, Iran uccide i suoi cittadini soprattutto le donne. Non vogliono libertà e indipendenza: vogliono distruggere Israele. A scuola, si insegna questa storia: gli ebrei sono europei venuti in Palestina per colonizzarla. E dunque il finale inevitabile è il ritorno dei palestinesi nella loro terra. Si fa finta di credere che prima di Israele vi fosse una “Palestina” indipendente, per far passare Israele come nazione “occupante” e persecutrice. Eppure nel mondo arabo gli ebrei sono stati perseguitati ben prima della nascita dello Stato di Israele. E il nazismo, sconfitto in Europa, è continuato nel nazionalismo arabo, almeno per quanto riguarda l’antisemitismo. Il resto del mondo non si è reso conto del pericolo dell’islamismo. Non si è ancora reso conto del pericolo costituito dal regime iraniano, sin dalla rivoluzione di Khomeini. E non abbiamo capito che Israele vive un pericolo esistenziale. La Osman usa un’efficace metafora scolastica per spiegare meglio l’atteggiamento della comunità internazionale. Israele è come il bambino diligente, il primo della classe, che viene continuamente bullizzato da compagni violenti e invidiosi. Ma la maestra, invece di prendere le parti del bambino bullizzato, dà ragione ai bulli. Come abbiamo fatto, noi occidentali, ad aver dimenticato così in fretta traumi come l’11 settembre, o come la strage del Bataclan, a Parigi? Eppure il mondo pretende di insegnare agli israeliani cosa debba fare o non fare, per difendersi dal terrorismo.

Levy esordisce dicendo che oggi (per chi legge) sono passati 8 mesi dal 7 ottobre, il peggior giorno per Israele. Cosa è in gioco, realmente, nella guerra più lunga di Israele, dai tempi della Guerra di Indipendenza (1948-49)? Sono in gioco le vite degli ostaggi, quelli che sono ancora vivi nelle mani di Hamas. Il diritto di ogni israeliano di vivere la sua vita, dormire a casa propria, andare a ballare dove vuole, di fare jogging senza timore di essere ucciso. In gioco c’è l’esistenza stessa di Israele, attaccata su sette diversi fronti di guerra: Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, il terrorismo islamico in Cisgiordania, le milizie sciite filo-iraniane in Siria, Iraq e Yemen e soprattutto l’Iran stesso. E c’è un ottavo fronte: ogni volta che gli ebrei sono minacciati nel mondo. Una guerra contro l’ebraismo fatta soprattutto di disinformazione. I fatti contano ancora? La verità conta ancora? Perché è in corso un’operazione di guerra psicologica contro Israele per manipolare l’opinione pubblica, dipingendo Israele come la nuova Germania nazista. E in questa campagna, il Sudafrica sta facendo da braccio legale di Hamas. Quante parole senza senso: apartheid in un paese in cui gli arabi hanno pieni diritti. Il genocidio per fame: quando i camion arrivano regolarmente tutti i giorni e senza limiti. Israele colpisce obiettivi civili e l’Unrwa: è normale che Hamas costruisca le sue basi all’interno dei compound di Unrwa e negli edifici civili? Combattere la disinformazione è una questione di giustizia, è necessario per il ripristino di un ordine internazionale basato sulla legge. Al fronte, non ci si deve accontentare di un pareggio, si deve ottenere una vittoria per ripristinare il diritto. Mentre, se Hamas resta al potere, ci sarà un nuovo 7 ottobre. L’Occidente stordito da una campagna di propaganda promossa da Iran, Cina e Russia, sta accettando di preservare uno Stato terrorista alle porte di Israele. Irlanda, Spagna e Norvegia, riconoscendo lo Stato di Palestina, hanno lanciato a Hamas il messaggio più orrendo: bruciare e violentare gli ebrei è una buona causa, il terrorismo paga.

Stefano Magni
takinut3@gmail.com