Il Duomo di Milano sfregiato dalla bandiera terrorista
Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 06/06/2024
Pagina: 1/8
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Una rinuncia alla nostra identità

Riprendiamo da LIBERO di oggi 06/06/2024, a pag. 1/8, con il titolo "Una rinuncia alla nostra identità", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

La bandiera della Palestina appesa alla facciata del Duomo di Milano dal candidato dei Verdi Stefano Apuzzo. I partiti di sinistra e la diocesi di Milano non dicono una sola parola contro questo sfregio. Le uniche proteste arrivano dalla comunità ebraica. Sembra ormai di vivere nel romanzo "Sottomissione" di Houllebecq, sottomessi dall'islam che sfregia tutti i giorni la nostra identità, servendosi dei suoi utili idioti

Proveranno a nascondere la notizia, ad attenuarla, ad attutirla, a smorzarla, come del resto si è già largamente tentato di fare ieri.
Oppure, al massimo, di derubricarla a folklore, a colore, a provocazione di un personaggio bizzarro quale Stefano Apuzzo effettivamente è.
Si spiega così il gran silenzio della politica (a partire dal Pd e dagli alleati di quella lista Avs-Bonelli-Fratoianni in cui l’ineffabile Apuzzo è intruppato: meraviglie del “campo largo”) e del mondo cattolico progressista. Non a caso, invece, i più reattivi e sensibili (e ciò va a loro merito culturale, non solo religioso) sono stati gli esponenti della Comunità ebraica milanese, a partire dal presidente Walker Meghnagi, a cui non è sfuggito il significato simbolico dello sfregio, della profanazione, per certi versi dell’appropriazione.
Di questo si parla, quando una bandiera palestinese viene esposta sulla facciata del Duomo di Milano, violando e violentando la sacralità spirituale di quel luogo. Chi non capisce (o fa finta di non capire) deve spaventarci per questa propensione a sottovalutare un evento che avrebbe fatto disperare Oriana Fallaci e che conferma – fino alle virgole – le tesi e le cupe profezie di Michel Houellebecq.
La “sottomissione” è tutta lì, in quell’immagine, in quella foto fatta per girare e diventare virale, per circolare sui forum fondamentalisti più ancora che sui media internazionali, per rendere realizzato e perfino “normalizzato” ciò che invece era e doveva rimanere un tabù, cioè l’intangibilità di uno dei massimi simboli della cristianità e dell’elevarsi dello spirito umano verso il cielo. I riflessi di pochi scattarono pronti quando, nel 2020, il tiranno turco Erdogan “riconvertì” la basilica di Santa Sofia di Istanbul in moschea. E invece era l’inizio di un percorso di conquista, di sfida esplicita: non a caso, nel maggio scorso, la scena si è ripetuta con la trasformazione in moschea della chiesa di San Salvatore in Chora.
Si dirà: il temibile Erdogan non può certo essere appaiato al risibile Apuzzo. Vero, anzi verissimo: ma il punto è che– una volta in forma solenne, e un’altra in forma cabarettistica – il bersaglio è lo stesso: che si tratti dell’autocrate in cerca di una sempre più marcata connotazione integralista, o che si tratti di un piccolo esemplare del bestiario politico italiano, è stata sdoganata l’idea che certi simboli possano essere toccati, profanati, alterati.
Non solo: sia rispetto alla tragedia sia rispetto alla farsa, il “test” mostra che le vittime – cioè le culture da ridimensionare, da punire, da sottomettere, da sostituire – non reagiscono, sono accondiscendenti, sono perfino imbambolate rispetto alla gravità di ciò che sta accadendo.
Sta qui il cuore del problema: i nemici dell’Occidente ne studiano la storia, la cultura, le radici. Proprio perché vogliono recidere quei legami e quel patrimonio, lo conoscono, ne tengono conto. Di qua, invece, l’attitudine all’odio di sé è diventata abitudine, e in prospettiva destino: in un’atmosfera di distrazione, di inconsapevolezza, di dormiveglia. Ma la sorte dei sonnambuli è segnata: è raro che possano evitare di farsi molto male.

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