Riprendiamo da LIBERO di oggi 05/06/2024, a pag. 12, con il titolo "Aggressioni fisiche, violenza mediatica: la sinistra prosegue la campagna di odio", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Mancano ormai appena tre giorni, da oggi alla mezzanotte di venerdì, alla chiusura di una campagna elettorale tutt’altro che entusiasmante: questo è pacifico. E tuttavia, tra ciò che queste Europee ci lasceranno in eredità, c’è un clima cupo che non promette granché di buono.
Non mi riferisco solo alle aggressioni fisiche, peraltro unidirezionali: non c’è stato un solo appuntamento delle forze di sinistra che sia stato impedito o ostacolato dagli avversari, mentre non passa giorno senza la notizia di un giovane di destra picchiato, di un gazebo vandalizzato, di un’università sotto assedio. Sempre e solo da parte di schegge – più o meno impazzite o tollerate – della sinistra, e con le forze politiche progressiste che non trovano mai la forza per una condanna esplicita, forte, chiara, inequivoca. Anzi: che si tratti di “studenti” o di “amici” della Palestina, da sinistra parte sempre la pietosa gara delle giustificazioni.
E c’è perfino di più. La campagna mediatica (con inedito e inopportuno accompagnamento di alcuni senatori a vita) volta a criminalizzare preventivamente la proposta di riforma costituzionale sul premierato serve ad avvelenare ulteriormente l’atmosfera, a dare l’idea (surreale) di un regime nascente, a invocare la necessità di una sorta di nuovo Cln. In ultima analisi: a proiettare una luce cupa e minacciosa sul volto di Giorgia Meloni.
Alla quale – non a caso – si può dire di tutto, così come alle persone a lei vicine. Ricorderete che la professoressa Donatella Di Cesare ha potuto impunemente qualificare come “neohitleriano” il ministro Francesco Lollobrigida, e analogo semaforo verde anche giudiziario – a questo punto – può essere realisticamente atteso per quel “neonazista nell’animo” che il professor Luciano Canfora scagliò contro Giorgia Meloni.
Non sto qui ad entrare in aspetti giuridici: noi di Libero – per definizione – riteniamo che il free speech sia sacro, e che non si debba mai impedire a nessuno di esprimersi. E tuttavia, ad espressione liberamente avvenuta, non si dovrebbe nemmeno assassinare l’istituto della diffamazione: se la vittima non può difendersi nemmeno da accuse così sanguinose e irricevibili, allora vuol dire che siamo già nella giungla, dove la belva più prepotente può umiliare le altre o addirittura divorarle, se per caso ha fame.
Ecco, provate a sommare questi elementi solo apparentemente scollegati tra loro: una certa tolleranza verso le aggressioni fisiche, una totale accettazione di un linguaggio di estrema e radicale violenza, e la descrizione dell’avversario politico (per l’esattezza, del governo e di chi lo guida) come un mostro. Questa operazione ha un solo effetto: trasformare il nemico in un bersaglio che può essere colpito.
Non voglio angosciarvi, amici lettori, ma non ho belle sensazioni. Sarà bene tenere a mente un anniversario caduto il 6 maggio scorso, un mesetto fa, quando ricorreva il ventiduesimo anno dall’assassinio avvenuto nel 2002 (guarda un po’: da parte di un estremista ambientalista) di Pim Fortuyn, che tra l’altro è sepolto in Italia, nel cimitero di Provesano, a San Giorgio della Richinvelda.
Chi era Fortuyn? È stato l’eccezionale leader olandese, fondatore di una lista – poi sfaldatasi dopo la sua morte – capace di movimentare la politica dei Paesi Bassi, e da lui condotta a impensabili successi elettorali. In tanti, in patria e fuori, cercarono di appiccicargli l’etichetta del mostro. E la demonizzazione, in Italia, colpì (perfino in luoghi teoricamente insospettabili) chiunque osasse proporre una lettura diversa del suo fenomeno. A mio avviso, infatti, Fortuyn incarnò uno schema tutto diverso rispetto alla caricatura estremista che i suoi odiatori gli appiccicarono in vita e post mortem.
Era chiaramente un uomo di destra, certo: ma fautore di una linea liberale e anche laica. La sua vera lezione sta nel modo in cui condusse le campagne contro l’immigrazione incontrollata e contro l’estremismo islamico: non adducendo ragioni razziste, che anzi respingeva con sdegno, ma proprio in nome delle ragioni della tolleranza olandese, in nome della cultura e del sistema di valori occidentali, in nome della constatazione del rifiuto di integrarsi delle comunità islamiste più radicali, in nome della necessità di non cedere al fondamentalismo ma di contrapporre a esso le bandiere occidentali della libertà, della democrazia, del rispetto di ogni scelta personale.
Magistrali le sue campagne contro il multiculturalismo, inteso come (impossibile e dannosa) integrazione di comunità, lasciando a queste comunità spazi e territori sottratti alla legge (o affidati a una legge diversa, ai precetti dell’islamismo estremista). E a maggior ragione azzeccata la sua insistenza sull’integrazione individuale, e quindi sul necessario rispetto, da parte di chi arriva, di regole e princìpi liberali.
Stadi fatto che Fortuyn – in patria e fuori – fu trattato dai media e dagli avversari politici come un demone da esorcizzare, come un’anomalia da sopprimere, come un nemico da abbattere. E puntualmente arrivò chi si fece carico del “compito”.
Stiamo molto attenti, e stiano molto attenti a sinistra: il mio appello si rivolge soprattutto alle teste fredde e pensanti di quella parte. Fermino le campagne di odio che già sono in corso.
Prendano le distanze da un tiro al bersaglio pericoloso e sbagliato verso la destra. Spieghino ai loro compagni che un conto è la battaglia politica (fisiologicamente e direi sanamente dura), altro conto è invece accettare un’odiosa caccia all’uomo. Anzi, nel caso dell’inquilina di Palazzo Chigi, un’odiosa caccia alla donna.
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