Riprendiamo, da LA REPUBBLICA di oggi, 02/06/2024, a pag. 30, il commento di Bernard-Henri Lévy dal titolo "Contro le tenebre dell’antisemitismo".
"La piramide dei martiri affligge la terra”, scriveva un grande poeta francese che fu anche un capitano della Resistenza. L’Europa in quel momento stava appena cominciando a riprendersi da un tentativo di suicidio che era cominciato con l’omicidio dei suoi ebrei. La sua anima, la sua cultura, il suo futuro erano appesi a un filo, teso su una tela di tenebre di cui una manciata di Giusti avevano salvato dei brandelli. Ed è a partire da questa stoffa sbrindellata, nella rotta dell’umanesimo e della civiltà, mentre aveva trionfato l’ignavia, cioè, per parlare la lingua chiara dei profeti, la rassegnazione a vedere gli ebrei come “agnelli sul banco del macellaio”, che una compagnia di pionieri reinventò l’Europa e rese possibile pronunciarne di nuovo il nome senza arrossire. È così che è nata l’Unione Europea. È perché conoscevano Primo Levi e il suo Se questo è un uomo, Kafka e la sua premonizione della solitudine di Israele, Malaparte e il diamante nero dei suoi romanzi di guerra, è perché si leggeva, a quei tempi, lo straordinario Kaputt, che si apriva su un palazzo proustiano del regno di Svezia e poi avanzava, passo dopo passo, in un continente di terrore, verso il pogrom di Iasi, in Romania, che i Padri fondatori hanno risuscitato la principessa Europa. È l’assassinio dei suoi ebrei che l’ha dannata ed è attraverso la riparazione offerta ai sopravvissuti che le è stata data un’ultima occasione di salvezza. Ma ecco che, ottant’anni più tardi, dopo una rinascita in mezzatinta, l’Europa è tornata sull’orlo dell’abisso. Non parlo della sua economia, fragile. Non parlo neanche del suo irradiamento culturale, ben lontano dai fuochi abbaglianti di prima della distruzione degli ebrei. Non parlo neppure della sua sovranità politica, che, come se non desiderassimo altro che diventare una periferia del mondo, non riesce a prendere forma. Parlo di quel nuovo vento di riprovazione che, partito spesso e volentieri dagli Stati che patrocinano Hamas, soffia di nuovo sulle nostre città. Parlo di quel modo, trasformando in genocidi i discendenti dei genocidati, di lavarsi dei crimini commessi e che si stava cominciando a espiare. E parlo del fatto che l’odio antiebraico, che naturalmente non era mai scomparso, ormai è in pieno rigoglio e può mostrarsi apertamente, sbraitante e col viso contratto, da Malmö a Bruxelles, da Parigi a Madrid. Quanti siano, in realtà, importa poco. Perché i popoli non sono mai stati integralmente, unanimemente antisemiti. In Francia, ad esempio, basta un partito che si proclama indomito per rilegittimare, strumentalizzando la causa palestinese, nelle piazze, nelle università, nel Parlamento il più vecchio e rancido degli odi. Così l’Europa perde la sua bussola morale. Così ritornano i tempi bui, e con essi i “pubblici mascalzoni” e altri psicopatici di cui Nietzsche diceva che bastavano a incendiare il mondo. Ecco il perché dell’incontro convocato da La Règle du jeuper domani, lunedì 3 giugno, al Théâtre Antoine, a Parigi. La Règle du jeu è la rivista che ho fondato nel 1990 con Salman Rushdie, Mario Vargas Llosa, David Grossman, Claudio Magris e, tra quelli che non ci sono più, Jorge Semprún, Czeslaw Milosz, Amos Oz o Susan Sontag. È una rivista di scrittori. È una rivista creata da donne e uomini che, se si potesse tornare indietro, ricomincerebbero dalla letteratura, ma che hanno sempre avuto a cuore, dappertutto, gli oppressi e la lotta per i diritti dell’uomo. Ed è una rivista che domani, poco prima delle elezioni europee, inviterà la presidente dell’Assemblea nazionale e il presidente del Senato, la sindaca di Parigi ed ex primi ministri, artisti, direttori di giornali europei e naturalmente scrittori a riunirsi intorno a un concetto semplice. L’anima dell’Europa è in pericolo. Dovrebbe essere, per parafrasare Paul Celan, la patria degli uomini e dei libri: torna a essere il luogo dei vituperi più criminali. Non dovrebbe esserci oggi, per l’Europa, incontro più cruciale di quello con il popolo che le ha donato il Libro, e i cui nomi, vivi e morti, vengono diffamati con sempre più forza: la questione è assente dai dibattiti, e i grandi candidati repubblicani, come se fossero paralizzati dallo spettacolo della sofferenza palestinese, fanno di tutto per schivarla. Nessuno dovrebbe poter entrare nel Parlamento di cui Simone Veil, sopravvissuta di Auschwitz, fu la prima presidente, senza avere a cuore l’irrimborsabile debito dell’Europa nei confronti di questo piccolo popolo così strano, così singolare e la cui persecuzione è sempre stata il più infallibile degli evidenziatori di disumanità: chi ne parla? Chi se ne commuove? Domani sera resteranno cinque giorni prima del voto. Cinque giorni, non uno di più, perché ognuna e ognuno rimetta ordine nei suoi retropensieri. Bisognerà dirlo con voce forte e chiara: l’antisemitismo, in qualunque lingua sia espresso, è un crimine contro lo spirito e anche una minaccia esistenziale per l’Europa.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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