Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 01/06/2024, a pag. 14, con il titolo "È ora di finire la guerra” l’annuncio di Biden su Gaza Netanyahu e Hamas aprono" l'analisi di Paolo Mastrolilli.
«È venuto il tempo per questa guerra di finire, e per il giorno dopo di iniziare». Contiene un appello alla speranza, ma anche un’esortazione a tutte le parti coinvolte nel conflitto di Gaza, il messaggio con cui il presidente Biden ha annunciato ieri dalla Casa Bianca il piano di pace proposto da Israele. Un’iniziativa in tre fasi, confermata poco dopo dal premier Netanyahu, che non prevede solo la tregua di sei settimane già discussa in passato, ma anche una «cessazione permanente» delle ostilità, che poi dovrebbe aprire la porta alla ricostruzione della Striscia. Dalla realizzazione di questa “road map”, potrebbero poi scaturire anche la ripresa del cammino verso la creazione di uno Stato palestinese, in cambio della normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. Le ragioni per cui il piano israeliano è stato annunciato da Washington sono comprensibili. Il negoziato lo hanno condotto gli americani, con l’aiuto di egiziani e qatarini, anche allo scopo di evitare l’offensiva di terra a Rafah. Finora Biden ha pagato un prezzo altissimo di politica interna, per l’appoggio dato allo Stato ebraico nella risposta alla strage di Hamas del 7 ottobre, che mette a rischio la sua rielezione. Non può andare oltre e lo ha fatto capire, quando si è astenuto sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco e ha fermato le forniture di alcune armi. Di sicuro non può accettare che la guerra continui fino alla fine dell’anno, ossia dopo le presidenziali del 5 novembre, come aveva accennato il consigliere per la sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi, confermando le preoccupazioni di chi tra i democratici teme che Netanyahu stia facendo il gioco elettorale di Trump. Le ultime operazioni condotte a Gaza, con i “tragici errori” ammessi dallo stesso premier, avevano fatto pensare che lo spazio per il negoziato si fosse definitivamente chiuso, ma gli Usa non hanno mai smesso di tentare, con l’aiuto di Egitto e Qatar. Il consigliere per la sicurezza nazionale americano Sullivan era stato in Arabia, minacciando in sostanza la possibilità che Washington concludesse l’accordo per la sicurezza di Riad, senza includere lo scambio con la normalizzazione delle relazioni con Israele. Un risultato che forse a questo punto potrebbe convenire a Netanyahu più della prosecuzione indefinita dell’intervento a Gaza, perché isolerebbe il vero nemico iraniano. Joe ha fatto l’annuncio dalla Casa Bianca per togliere Bibi dall’imbarazzo, ma anche per offrire a tutti la garanzia dell’ombrello americano. Il piano è stato presentato come una proposta israeliana, ancheper premere sull’ala del governo che si oppone alla fine delle operazioni militari e dare copertura al premier. Lo conferma il fatto che contestualmente i leader del Congresso hanno esteso l’invito bipartisan a Netanyahu per parlare ad una sessione congiunta del Parlamento. Così Biden si è fatto garante del rispetto della road map da parte del tradizionale alleato americano nella regione. Nello stesso tempo, però, il presidente si è assunto la responsabilità dell’intera operazione, sollecitando gli interlocutori arabi a fare altrettanto con Hamas. Ossia spingere l’organizzazione terroristica responsabile dell’attacco del 7 ottobre ad accettare l’intesa e applicarla. Hamas con un comunicato ha subito salutato positivamente il discorso di Biden. Biden è stato onesto, ammettendo che il diavolo sta nei dettagli, ossia le condizioni per passare dalle sei settimane di tregua previste dalla prima fase del piano, al cessate il fuoco permanente della seconda fase. Questo negoziato è ancora tutto da fare, ma se Hamas accettasse onestamente di condurlo, la tregua di sei settimane si potrebbe allungare per tutto il tempo in cui la trattativa proseguirà. In altre parole diventare subito permanente nei fatti, se Sinwar e gli altri fossero seri nel perseguire l’intesa. Biden ha incoraggiato Netanyahu a seguire questa strada dicendo che ormai la capacità militare di Hamas è stata già degradata al punto di non poter più scatenare un 7 ottobre, che poi era l’obiettivo «originario e francamente legittimo » dell’offensiva israeliana. Resta da vedere ora se il gruppo terroristico è davvero disposto a seguire una road map che parte dalla cessazione delle ostilità, ma conduce anche verso la fine del suo ruolo politico di guida.
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