Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 28/05/2024, a pag. 27, con il titolo "Un’Europa forte", il commento di Bernard Guetta.
Non se ne è parlato più di tanto, ma avete letto la recente dichiarazione dei Paesi del cosiddetto «Triangolo di Weimar», quello che ilGuardian chiama «la nuova locomotiva» dell’Unione Europea? Ebbene, mercoledì scorso i ministri degli Affari esteri dei tre Stati che compongono questo gruppo informale — Polonia, Francia e Germania — hanno valutato che l’Unione Europea deve diventare un «attore geopolitico a tutto tondo», quella che la Francia in altre occasioni aveva chiamato «la potenza Europa». Radoslaw Sikorski, il capo della diplomazia polacca, aveva già utilizzato, di fronte alla Dieta, l’espressione «entità geopolitica» per descrivere l’Unione. Ci eravamo quasi, ma stavolta l’entità è diventata attore e l’Unione Europea diventa un’unione politica. Tutto resta ancora da fare, certo, ma la direzione è stata imboccata, perché ci sono ragioni forti se la Germania e la Polonia si sono unite a un’ambizione che per molto tempo era stata soltanto francese. La prima è che serviranno diversi anni prima che il Cremlino rinunci a ritrovare le frontiere imperiali della Russia e a imporre in questo modo il suo predominio politico sull’Europa intera. La seconda è che l’instabilità del Medio Oriente durerà a lungo, e le sue ricadute non risparmieranno i 27. La terza ragione per cui le prime due potenze europee e il più ricco dei nuovi Stati membri, l’Est e l’Ovest dell’Unione, hanno unito le forze per affermare l’Unione come potenza politica è che gli europei non possono più contare sugli Stati Uniti per assicurare la loro difesa. I contribuenti e i politici americani ritengono che l’Europa, non dovendo più essere ricostruita e nemmeno riunificata, possa finanziare da sola la sua sicurezza, senza più bisogno di aiuto da parte loro. Che ciò sia vero è piuttosto evidente e alla Trump o alla democratica, in modo brutale o cortese, gli Stati Uniti voltano le spalle al vecchio continente per far fronte a una Cina che li preoccupa ben di più di Vladimir Putin e delle sue nostalgie imperiali. Siamo virtualmente nudi. Nel momento stesso in cui alle nostre frontiere si accumulano pericoli come non ne vedevamo più dal 1939, l’Unione ha come unica difesa l’esercito francese. Non abbiamo più scelta ed è per questo che il Triangolo di Weimar è uscito dal suo sonno non appena i polacchi hanno rispedito all’opposizione la destra germanofoba. La necessità si impone ed è il motivo per cui la dichiarazione di Radoslaw Sikorski, Stéphane Séjourné e Annalena Baerbock, lungi dal provocare il subbuglio che avrebbe scatenato ancora poco tempo fa, è apparsa come una risposta logica a un bisogno indiscutibile. Nemmeno le estreme destre hanno levato la voce per stigmatizzare delle mire federaliste occulte, nonostante avessero fondati motivi per farlo. Leggiamo: «Il nostro obiettivo è di rafforzare la sovranità e la resilienza dell’Europa». «Riaffermiamo l’importanza di avere capacità di difesa europee […] contribuendo alla sicurezza transatlantica e mondiale in complementarietà e interoperabilità con quelle della Nato». «Sottolineiamol’importanza di un pilastro europeo forte in seno alla Nato», dopo di che seguono «gli elementi essenziali al rafforzamento della sicurezza e della difesa europee», che sono: in primo luogo, degli stanziamenti per la difesa pari «almeno» al 2 per cento dei Pil nazionali, e spesi in modo da «costruire le forze e le capacità necessarie alla nostra difesa collettiva». In secondo luogo, «il rafforzamento delle capacità europee nella difesa aerea, nelle capacità di combattimento terrestri, nei sistemi offensivi di precisione a lunga di distanza, nei droni, nelle capacità di comando e controllo, nelle capacità logistiche e di mobilità, nelle scorte di munizioni e negli investimenti in tecnologie future». Si tratterebbe di rafforzare capacità comuni in tutti gli ambiti della difesa o quasi, e anche, in terzo luogo, «di accordare priorità alle politiche industriali di difesa, di approfondire gli sforzi di concentrazione e di standardizzazione, di varare contratti di acquisto a lungo termine e […] di vigilare affinché queste iniziative conducano a un ampliamento della base produttiva in tutta l’Unione Europea e portino beneficio alle imprese di medie dimensioni in Europa». La Germania, la Francia e la Polonia invocano lo sviluppo di un’industria della difesa paneuropea, che assicuri una «riduzione dei costi e una maggiore interoperabilità». Non solo: queste potenze ineludibili, un tempo divise sulle questioni relative alla difesa, raccomandano nella dichiarazione del 22 maggio una difesa comune fondata su un’industria militare europea, ma intendono «garantire un coinvolgimento europeo di lungo periodo in favore dell’Ucraina», «rafforzare la coerenza dell’azione esterna dell’Ue», «adottare un approccio Team Europa nelle relazioni fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue»; «lavorare a una sicurezza integrata» nella lotta contro le minacce ibride e la criminalità transnazionale e creare un «Triangolo di Weimar verde» per contribuire a portare avanti una «transizione giusta e ordinata». «Soltanto parole», diranno molti. Sì, in effetti sono soltanto parole, ma oltre al fatto che mai dei Paesi così influenti e diversi fra loro le avevano pronunciate insieme, quali forze potrebbero impedire, oggi, che diventino realtà? Né le sinistre né le destre né il centro né i verdi sono intenzionati a farlo e per le estreme destre non sarà facile opporsi all’idea che i nostri eserciti nazionali organizzino la loro complementarietà in un mondo così pericoloso. Ciò non significa che tutto sarà fatto rapidamente e bene. Sul piano dell’occupazione e degli introiti fiscali, ogni Paese vorrà ricavare il massimo beneficio dagli investimenti che verranno. Inevitabili conflitti di interesse freneranno la marcia verso la difesa comune, ma quando vediamo già ora i Paesi del Baltico serrare i ranghi e l’Unione comprare munizioni in comune, come negare che l’improvviso avvicinamento di questi tre Paesi sia il preannuncio di quello che diventa, sotto i nostri occhi, il terzo momento dell’unità europea, l’unità politica dopo il mercato comune e la moneta comune? (Traduzione di Fabio Galimberti)
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