Riprendiamo da LIBERO di oggi 25/05/2024, a pag. 1/12, con il titolo "Se la violenza è sulle soldatesse israeliane, le femministe de noantri perdono la voce", il commento di Lucia Esposito.
Lucia Esposito
Abbiamo aspettato un giorno e poi ancora un altro prima di scrivere quest’articolo perché ci eravamo ingenuamente illuse che dalla variegata galassia femminista sarebbe arrivata una - almeno una- parola per le cinque soldatesse israeliane finite nelle mani di Hamas il 7 ottobre scorso. Ma ad oggi sono passati tre giorni dalla diffusione del video che riprende le donne circondate dai soldati di Hamas sanguinanti e terrorizzate, ed è giunta solo l’eco di un silenzio colpevole, un mutismo selettivo, un’impermeabilità alle torture e al dolore delle israeliane.
Il video che squaderna l’orrore rimbalza nei nostri pc e perfino nei nostri cellulari, ma la violenza di Hamas sintetizzata in tre minuti e dieci secondi non ha suscitato neanche una reazione di solidarietà femminista per le vittime. Quelle immagini non dovrebbero lasciare indifferente chi ogni giorno - giustamente - è in prima linea per la difesa dei diritti delle donne. Chi combatte la società patriarcale con ogni mezzo, incluso quello del linguaggio, non può accettare che gli uomini di Hamas calpestino la dignità di queste soldatesse chiamandole «cagne» e trascinandole come sacchi di immondizia; chi si è indignata - ripetiamo, giustamente - per le catene che bloccavano le mani di Ilaria Salis durante le udienze del processo a Budapest, non può tacere davanti alle braccia e alle gambe legate delle cinque israeliane; chi combatte - a costo di essere pedanti, ribadiamo giustamente perché quando un uomo uccide la propria donna il reato sia classificato come femminicidio, dovrebbe protestare davanti alle immagini di queste ragazze trattate come carne da macello. È come se le donne israeliane fossero di serie B, come se meritassero di essere offese, picchiate, sfregiate e quasi certamente anche stuprate (ricordiamo che il video durava tredici minuti ed è stato tagliato nelle sue parti più forti). Comunque, indegne di essere difese e meritevoli di essere minacciate con frasi come «siete belle sioniste», «ragazze che possono restare incinte».
DONNE DIMEZZATE
È come se queste soldatesse israeliane fossero meno donne delle altre: sono invisibili agli occhi delle femministe. Hanno tra i diciannove e i vent’anni e da sette mesi sono nelle mani di Hamas. Si chiamano Naama Levy, Agam Berger, Liri Albag, Karina Ariev e Daniela Gilboa.
Naama, Agam, Liri, Karina e Daniela: scriviamo nuovamente i loro nomi di battesimo perché sia chiaro che dietro quel generico “soldatesse israeliane” ci sono cinque giovani donne che da oltre duecento giorni vivono aggrappate al passato e senza alcun orizzonte futuro se non la speranza quotidiana di sopravvivere all’ennesima brutalità.
Il sette ottobre Naama, Agam, Liri, Karina e Daniela si trovavano nella base militare vicino al kibbutz di Nahal Oz, dove svolgevano il servizio di leva come soldatesse osservatrici.
La loro base fu presa dai terroristi.
Quindici donne furono uccise sotto gli occhi delle altre, sette furono rapite. Noa Marciano è morta durante la prigionia, Ori Megidish è stata liberata dalle forze israeliane tre settimane dopo il sequestro. Sono rimaste loro cinque. Ma per quanto possono sopravvivere in quelle condizioni? Hamas, in una dichiarazione rilanciata da Al Jazeera, ha fatto sapere che il «video è stato manipolato» e ha aggiunto: «Le donne soldato sono state trattate secondo l’etica della nostra resistenza e non è stato dimostrato alcun maltrattamento nei confronti dei soldati in questa unità».
L’ETICA DELLA RESISTENZA
Affermazioni tutt’altro che rassicuranti. Gli stupri di massa, le torture e le mutilazioni dei cadaveri nella furia del 7 ottobre sono stati accertati anche dall’Onu. «Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate», si legge nel Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel.
Sono stati i soccorritori, i testimoni, i sopravvissuti a ricostruire nei più indicibili dettagli come donne, madri, figlie, amiche, siano state stuprate e poi mutilate dai terroristi. No, non ci tranquillizza per niente sapere che le donne vengono trattate secondo l’etica della resistenza di Hamas.
Per due giorni abbiamo aspettato una reazione delle femministe, ma avremmo dovuto ricordarci del silenzio della manifestazione del 25 novembre, in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, e anche del corteo dell’otto marzo, quando il movimento femminista scese in piazza sventolando bandiere palestinesi, in un’operazione di rimozione collettiva degli stupri di massa a cui furono sottoposte le israeliane quel maledetto sette di ottobre. Inutile attendere una reazione, il copione è noto. Quando di mezzo ci sono le donne israeliane come Naama, Agam, Liri, Karina e Daniela - è previsto solo e sempre il silenzio.
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