Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 25/05/2024 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Realtà manipolata: niente prove, solo ideologia".
Fiamma Nirenstein
Mancava solo che il giudice Nawaf Salam esclamasse “From the river to the sea”, e la farsa sarebbe stata completa. Il pacato presidente del Tribunale Internazionale che ieri all’Aia ha letto la sentenza della Corte internazionale di giustizia che impone di fermare Israele imponendogli di uscire da Rafah, lasciando Hamas padrone di Gaza, abbandonando i rapiti (di cui l’esercito ha appena riportato a casa 6 corpi recuperati nelle gallerie, assassinati, destinati al ricatto), infischiandosene del futuro dei civili dei kibbutz decimati o esiliati dall’organizzazione terrorista peggiore del mondo… dal 2007 al 2017 è stato ambasciatore del Libano all’ONU dove dichiarava Israele nei suoi interventi, Paese d’apartheid.
Oggi è l’imparziale giudice della Corte internazionale di giustizia. Il suo è un Paese in guerra con Israele, sotto il dominio degli Hezbollah braccio destro dell’Iran, che probabilmente spaventano anche lui (non sarebbe facile tornare a Beirut senza una decisione antisraeliana). I giudici hanno votato contro 13 a 2, e al party e c’erano tutti, il cinese, il russo, l’algerino… Insomma l’ONU, come sempre, colpisce Israele, ieri è stato Karim Khan alla Corte penale internazionale oggi è la Corte internazionale di giustizia: iniettano nel mondo un odio per gli ebrei che ormai si è allargata alla protezione di Hamas. E gli applausi di Sinwar, dell’Autorità nazionale palestinese, di Erdogan, degli Ayatollah, degli imam più estremisti di tutta Europa e dei movimenti antisemiti nelle università di tutto l’Occidente hanno rimbombato in questo teatro surreale in cui non si sa più che l’aggredito è Israele, che l’aggressione, come nel video sulle ragazze rapite e uccise nella loro base, si rivela ancora giorno dopo giorno. Sarebbe un disastro incontenibile, una nuova imposizione della legge della manipolazione, se il tribunale internazionale avesse, cosa che non ha, la giurisdizione per decidere quando le guerre devo iniziare e quando concludersi.
La chiave della conclusione di una guerra è ben più larga, decide della vita e della morte di civiltà, di culture, della sopravvivenza e dei cambiamenti epocali: non lo decide un tribunale dell’ONU imbevuto di ideologia. Non ha portato al pubblico una sola prova, vantandosi della testimonianza dell’UNRWA che ha partecipato all’eccidio del 7 ottobre. In realtà Israele prima di entrare a Rafah, ha aspettato, a lungo il consenso americano, finché è riuscito a creare, in conformità con quanto fatto anche nella prima parte della guerra al nord, un poderoso corridoio di scampo per i civili e di rifornimenti umanitari. Le operazioni sono mirate, l’obiettivo il corridoio con l’’Egitto.
La Casa Bianca dopo una lunga opposizione adesso non contrasta Rafah, e Netanyahu si prepara a una visita al Congresso. Solo la malafede onusiana nasconde che Israele è la vittima e Hamas l’aggressore, e che combattere è una questione di sopravvivenza. Dunque, la sentenza propone lo stop a un genocidio inesistente in cambio di un genocidio realisticamente promesso. Ognuna delle accuse si smonta se il pregiudizio viene cancello. Ma non è possibile. La richiesta di fermare l’esercito a Rafah è una catastrofe concettuale, ma nella realtà Israele non può smettere di combattere: ne va della vita, e del buon senso.
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