Riprendiamo da LA REPUBBLICA di oggi, 24/05/2024, a pag. 17, con il titolo "Cunicoli e agguati così Hamas sfugge alla caccia israeliana" l'analisi di Gianluca Di Feo.
I timori del Pentagono: ucciso solo un terzo dei miliziani, non è possibile eliminarli tutti “Si rischia un altro Iraq” Mercoledì a Beit Hanoun tre soldati sono stati uccisi e due gravemente feriti. La cittadina nel nord della Striscia è stata tra le prime a venire attaccata dall’esercito israeliano, con un’operazione condotta alla fine dello scorso ottobre; poi ad aprile c’è stato un secondo assalto e adesso la caccia a Hamas casa per casa è ricominciata. Combattenti jihadisti continuano a sbucare dal nulla e non si tratta di reclute dell’ultima ora, ma di cecchini e guastatori esperti. Segno che sono rimasti per mesi in attesa del momento di colpire. La stessa cosa avviene pure a Jabalya, a Khan Yunis, a Zeitoun e in altri sobborghi di Gaza City, tutti già rastrellati da tempo e sottoposti a una media quotidiana di cento bombardamenti aerei. Una pessima premessa per la battaglia di Rafah, scatenata nella zona più popolata con un’intensità che cresce ogni giorno. I bollettini infatti aumentano le perplessità del Pentagono sull’offensiva lanciata da Israele per cancellare l’organizzazione di Hamas dopo i massacri del 7 ottobre. A Washington non si comprende quale sia la strategia del governo Netanyahu per il futuro dei palestinesi, mentre i risultati raggiunti finora fanno dubitare della capacità di arrivare alla distruzione completa del movimento jihadista. «Una vittoria totale è impossibile », ha detto il sottosegretario agli Esteri Kurt Campbell. Il consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan è andato oltre e ha suggerito di stabilire «un obiettivo possibile e duraturo». Il timore è di vedere Gaza trasformarsi in una gigantesca Falluja, la città irachena che dopo l’assedio dei marines è diventata la fucina di una generazione di guerriglieri islamici: la lotta contro Al Qaeda, portata avanti militarmente senza preoccuparsi della popolazione, ha creato un mostro ancora più feroce, l’Isis. Politico ha pubblicato alcuni dati attribuiti all’intelligence americana: solo tra il 30 e il 35 per cento deimiliziani di Hamas sarebbe stato ucciso. Prima del 7 ottobre si riteneva ne contasse 30 mila e a fine marzo le Israeli Defence Forces sostenevano di averne ammazzati 13 mila. Oggi ilbodycount dovrebbe avere superato 14 mila, a cui vanno aggiunti i presunti jihadisti feriti o arrestati. Cifre attendibili? Non molto. La “stima dei danni” viene realizzata secondo i criteri dei conflitti tradizionali che mal si adattano a calcolare le perdite di un esercito irregolare. Ancora più eloquente un’altra valutazione degli 007 statunitensi: il 65 per cento dei tunnel sarebbe intatto. Non sorprende: la presenza degli ostaggi costituisce il grande vincolo agli attacchi contro i cunicoli, che possono essere demoliti soltanto dopo avere accertato che non custodiscano i 124 prigionieri israeliani. L’attenzione è stata concentrata sul bloccare gli ingressi per impedire che le forze israeliane venisseroaggredite alle spalle. Ne sarebbero stati smantellati cinquecento: poca cosa rispetto alla ragnatela sotterranea che si estendeva per centinaia di chilometri su più livelli con profondità fino a 50 metri. Una Maginot che continua a proteggere le riservedi uomini e probabilmente a ospitare l’imprendibile Yahya Sinwar. Oltre a questo freno, l’esercito israeliano avrebbe mostrato altri tre difetti. Il primo è la stessa carenza di intelligence drammaticamente emersa il 7 ottobre: l’offensiva è partita senza una mappa aggiornata delle catacombe e degli arsenali, cercando di raccogliere le informazioni mano a mano che i reparti si inoltravano nella Striscia. L’altro è avere affidato la missione a una quantità ridotta di soldati – attualmente sono impegnate otto brigate, con circa 40 mila militari – per controllare un territorio dove vivono oltre due milioni di palestinesi. Il terzo è la scarsa preparazione dei riservisti per gli scontri urbani. Per compensare queste carenze, Gaza viene sorvegliata notte e giorno con droni e sensori gestiti dall’intelligenza artificiale: ogni bersaglio identificato viene distrutto. Il volume di fuoco è enorme: usano cannoni da 155 millimetri, mortai da 120, carri armati, elicotteri Apache con missili e mitragliere, jet con bombe anche da una tonnellata. In molti casi – è accaduto anche ieri – per eliminare un singolo cecchino vengono rasi al suolo due palazzi. La devastazione dei centri abitati e l’elevato numero di vittime civili – secondo Hamas i morti sono 35.709 – dipendono soprattutto da questo modo di combattere. I vertici israeliani ritengono che la catena di comando del movimento jihadista sia stata spazzata via ovunque, tranne che a Rafah. Lì si sarebbero asserragliati gli ultimi quattro battaglioni, inclusa l’unità più addestrata, con un numero di uomini compreso tra tre e cinquemila. L’impressione è che i miliziani abbiano aggiornato le tattiche osservando come si muovono gli incursori: sono segnalate azioni coordinate di cecchini e mortai. E che molti, usando i cunicoli o confondendosi tra gli sfollati, si siano spostati altrove prima dell’accerchiamento. Anche in Israele c’è chi è scettico sull’esito della guerra. L’ex generale Yoram Hemo si è dimesso dal Consiglio della Sicurezza Nazionale: «Con questo approccio la distruzione di Hamas è molto lontana e dubito che verrà mai completata». Hemo sostiene che così non ci sarà altra scelta che mantenere l’occupazione militare di Gaza, con il rischio che alla fine i jihadisti riprendano lentamente il potere. Ma il governo è compatto e non intende cambiare linea: «Stiamo rafforzando il nostro impegno contro Rafah – ha detto ieri il ministro della Difesa Gallant - . L’operazione aumenterà con altre forze di terra e dall’aria. Raggiungeremo i nostri obiettivi».
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