Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'articolo di Zvika Klein "Ho degli amici in Palestina: le inutili parole di Naama ai suoi aguzzini", tradotto dal Jerusalem Post
“Ho degli amici in Palestina”. Queste parole pronunciate da Naama Levy, soldatessa israeliana e attivista per la pace, ai suoi sequestratori di Hamas mentre il suo volto è coperto di sangue, sottolineano ancora di più, se possibile, la tragedia del suo rapimento.
Naama Levy, che ha dedicato la sua giovane vita a promuovere la pace e la comprensione tra israeliani e palestinesi, è stata brutalmente rapita durante il massacro di Hamas in Israele il 7 ottobre 2023.
A 19 anni, Naama Levy avrebbe dovuto incarnare la speranza per un futuro in cui israeliani e palestinesi potessero coesistere pacificamente. Non è andata così. Anzi.
Cresciuta a Ra’anana, vicino a Tel Aviv, era profondamente coinvolta in Hands of Peace, un’organizzazione impegnata a promuovere il dialogo e la comprensione reciproca tra i giovani su entrambe i versanti del conflitto. Nell’ambito di questo programma, Naama ha partecipato a seminari, dialoghi e attività volti ad abbattere le barriere e costruire ponti tra comunità a lungo separate dall’odio e dalla violenza.
L’assurdità della situazione di Naama Levy è straziante. Ecco una giovane donna che, nonostante il conflitto profondamente radicato, ha scelto di tendere una mano di amicizia e comprensione ai suoi coetanei palestinesi. La sua dedizione alla pace e alla giustizia non era solo teorica: era profondamente personale e attiva. Si batteva per i diritti dei palestinesi, credendo in un’umanità condivisa e in un futuro migliore per tutti.
Eppure, in quel nefasto 7 ottobre questa sua dedizione si è imbattuta in una violenza inimmaginabile. Naama Levy è stata rapita dalla base militare del kibbutz di Nahal Oz. Il filmato del suo rapimento la mostra angosciata, ferita e sequestrata con la forza dai terroristi di Hamas.
Per un crudele e beffardo scherzo del destino, le stesse persone che si era battuta per comprendere e sostenere sono diventate i suoi aguzzini: non a causa delle sue azioni o delle sue convinzioni, ma semplicemente perché è ebrea.
Questa lacerante contraddizione non è solo tragica: è un atto d’accusa contro l’odio cieco che alimenta tali conflitti.
Il rapimento di Naama Levy è un cupo, doloroso promemoria del fatto che in questa feroce ondata di violenza, anche i più ardenti sostenitori della pace non vengono risparmiati. Di più. La sua terribile storia evidenzia l’inutile e spietata assurdità di una violenza che punisce anche coloro che cercano di superare divisioni e contrasti.
Le sue drammatiche e strazianti parole – “ho degli amici in Palestina” – dovrebbero suonare come una sirena d’allarme. Hamas, come purtroppo la maggioranza dei palestinesi, non riconoscerà mai Israele. Vogliono annientarci tutti.
Ma giovani donne israeliane come Naama Levy sono la testimonianza del fatto che sì, desideriamo la pace, ma siamo forti, determinati e non ci arrenderemo mai e poi mai.
(Da: Jerusalem Post, 22.5.24)
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