Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - il commento di Taha A. Lemkhir "Oggi 'Free Palestine' significa uno stato di Hamas tipo Isis, e gli ebrei a mare", tradotto da Times of Israel
Il rinomato scrittore Salman Rushdie ha ragione. La creazione di uno stato palestinese, nelle circostanze attuali, porterebbe solo alla creazione di uno stato islamico a immagine dell’ISIS o dell’Iran. Ben presto Hamas rovescerebbe la corrotta e debole Autorità Palestinese, come fece a Gaza, e si lancerebbe nuovamente sulla via della jihad contro Israele, creando un altro ecosistema jihadista e replicando il modello di Gaza.
“Se ci fosse uno stato palestinese adesso – ha detto lo scrittore britannico-americano di origine indiana Salman Rushdie, intervistato domenica dal quotidiano tedesco Bild – sarebbe gestito da Hamas e avremmo uno stato simile a quello dei talebani. Uno stato satellite dell’Iran. È questo ciò che vogliono i movimenti progressisti della sinistra occidentale? Non ci sono riflessioni molto profonde al riguardo. C’è più che altro una reazione emotiva alle morti a Gaza. E va bene. Ma quando si scivola nell’antisemitismo, e talvolta anche nel sostegno a Hamas, allora diventa problematico”.
Si narra che una volta Einstein disse: “Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”.
In effetti, gli ingredienti di un siffatto stato sono già ben presenti in Cisgiordania e se non fosse per la costante presenza israeliana nei territori, Hamas e Jihad Islamica avrebbero già da tempo rovesciato l’Autorità Palestinese. E godrebbero di grande popolarità, come confermano tutti gli indicatori, a partire dai sondaggi secondo cui una netta maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania vede con favore al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre.
Secondo la Reuters, quasi tre palestinesi su quattro giudicano “giusto” l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, e la conseguente controffensiva israeliana a Gaza ha solo aumentato il sostegno al gruppo islamista sia a Gaza che in Cisgiordania.
Con la differenza che la prossima volta, in Cisgiordania, le intenzioni feroci punterebbero ancora più in alto, la portata del tentativo jihadista sarebbe molto più ampia, la guerra santa islamista diventerebbe una fiorente industria istituzionalizzata.
All’evidenza, uno stato palestinese adesso verrebbe percepito come un trionfo del “metodo 7 ottobre” e apparirebbe come un premio ai criminali di Hamas per il loro terrorismo del 7 ottobre, giacché regalerebbe loro molto più territorio da dove replicare altri assalti in stile 7 ottobre.
Senza più controllo da parte delle Forze di Difesa e dei servizi di sicurezza israeliani, nel loro stato sovrano come viene proposto Hamas e complici avrebbero tutto il tempo e tutte le risorse necessarie per costruire in Cisgiordania un sistema di bunker e tunnel sotterranei ancora più grande e inespugnabile di quello di Gaza, avvalendosi di modalità molto più agevoli per consentire all’Iran di contrabbandare armi (e persino miliziani) attraverso la Giordania.
Nulla fa pensare che il destino di un formale stato palestinese sarebbe qualcosa di diverso da questo, né che possa essere più illuminato e pacifico e amichevole verso gli ebrei di quanto non fosse il proto-stato palestinese di Gaza.
Il problema con i politici occidentali, sempre alla ricerca di una facile via d’uscita dalla crisi che hanno di fronte, è che di solito ignorano la realtà ideologica sul terreno, cullandosi in un mondo di fantasia in cui i palestinesi rappresentano null’altro che un moderno movimento nazionale che si batte per avere semplicemente un proprio stato che incarni la loro recente identità nazionale, dispostissimi per questo a rinunciare a lotta armata e pretese massimaliste e a vivere fianco a fianco con i loro vicini ebrei. Un mondo di fantasia dove, non appena gli intransigenti israeliani accetteranno di concedere ai palestinesi quello stato, come per incanto la pace si materializzerà immediatamente.
Purtroppo, nulla potrebbe essere più lontano dalla verità di questa visione da incompetenti.
In realtà il problema è totalmente diverso. Gli arabi palestinesi e tanti loro fratelli in Medio Oriente sono ebbri di dogmi islamici estremisti in base ai quali sono fermamente convinti che la terra, l’intera terra della Palestina storica, essendo diventata musulmana nell’anno 636 e.v. debba necessariamente rimanere tale, e che la jihad sia l’unico legittimo strumento con cui la terra sarà riconquistata.
“Dal fiume al mare” dice lo slogan tanto in voga. Oppure, in una sua versione un po’ più vecchia, “gettare gli ebrei in mare”. Qui nel mondo arabo, sia per le masse indottrinate che per le élite, liberare la Palestina significa esattamente questo: gettare gli ebrei in mare. Dieci milioni? Sì, dieci milioni. E si può convincere una comunità di esseri umani a perseguire una soluzione così spietata solo se si riesce a disumanizzare completamente l’altro, in questo caso gli ebrei: scimmie, maiali, insetti, sanguisughe ecc.
A mio avviso, Israele ha ormai imparato a proprie spese a non concedere nulla gratuitamente o in cambio solo di vaghe promesse. Cedette il Sinai all’Egitto solo quando fu sicuro che l’accordo di pace con l’Egitto avrebbe tenuto, e così è stato. Per lo stesso motivo, non ha ceduto le alture del Golan alla Siria, poiché quel regime è nemico giurato dello stato ebraico. Poi c’è stato il ritiro da Gaza, con quello che è seguito. Perché mai la situazione attuale dovrebbe essere diversa per quanto riguarda la Cisgiordania? Soprattutto adesso, dopo il massacro del 7 ottobre?
(Da: Times of Israel, 21.5.24)
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