Quello che Biden non ha detto sull'antisemitismo
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/what-biden-didnt-say-about-antisemitism/
Il discorso che il Presidente Joe Biden ha tenuto il 7 maggio al Campidoglio degli Stati Uniti, durante il quale ha ripercorso con chiarezza il passaggio della Germania nazista dalle leggi razziali discriminatorie contro gli ebrei al vero e proprio genocidio, dimostrando strada facendo, il parallelismo con la febbrile situazione odierna, ha toccato tutte le note giuste. E proprio questo, forse, è stato il problema. Anche se ho apprezzato praticamente ogni parola che ho sentito, ciò che mi ha frustrato è stato il fatto che non ci fosse nulla di nuovo. È vero, è rassicurante che un Presidente americano capisca cos’è stata la Shoah, come è stata realizzata e come continua a incidere sulle comunità ebraiche. Come ha detto Biden, “[al] momento della fine della guerra, 6 milioni di ebrei – uno su tre ebrei nel mondo intero – furono assassinati.” A quasi 80 anni dalla vittoria sulla Germania nazista, e nonostante l’esistenza di uno Stato ebraico e una fioritura senza precedenti di comunità ebraiche in molte democrazie del mondo, a tutt’oggi ci sono meno ebrei rispetto a prima che Hitler intraprendesse il suo programma di sterminio. E come ha indicato il discorso di Biden, quella che in termini relativi è stata una “Età dell'Oro” del dopoguerra è ormai finita. Ecco perché speravo di sentire qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso. Ma alla fine, anche se Biden ha parlato in modo toccante, le sue parole sono state pacate e, per la maggior parte degli americani, non controverse.
Molta della parte conclusiva del suo discorso è stata dedicata a un libro di memorie di Tom Lantos, lo scomparso rappresentante del Congresso della California e un sopravvissuto alla Shoah proveniente dall'Ungheria che un tempo aveva lavorato nello staff di Biden. La storia di Lantos è certamente fonte di ispirazione, ma un affettuoso ricordo della sua vita non servirà a spiegare né a scoraggiare l'ondata antisemita che stiamo affrontando. Sulle proteste pro-Hamas che hanno sconvolto i campus statunitensi, ancora una volta Biden ha correttamente descritto gli slogan e i cartelli esposti come “spregevoli”. (Eppure) Ancora nel discorso c’erano preziosi piccoli dettagli su come affrontare questo problema, oltre l’individuazione di verità ampiamente conosciute, almeno tra gli ebrei (“Sappiamo che l’odio non scompare mai, si nasconde solo”), e alcuni blandi cliché ("Sappiamo anche cosa ferma l'odio. Una cosa: tutti noi.").
Tutti gli elogi che Biden si è guadagnato dagli ebrei americani sono andati rapidamente persi nei giorni successivi al discorso. Mentre le truppe israeliane si preparavano all’assalto a Rafah, l’ultimo bastione di Hamas nella parte più meridionale della Striscia di Gaza, Biden ha annunciato la sospensione delle consegne alle forze di difesa israeliane di armi chiave, nel tentativo di forzare un cessate il fuoco.
Per molti ebrei, compreso l’enorme numero di chi afferma che non voterebbe mai per Donald Trump in nessuna circostanza, la decisione di Biden di concedere agli stupratori e assassini di Hamas un vantaggio operativo è sembrata il peggior tradimento. Confrontando il suo discorso al Campidoglio con la successiva intervista rilasciata a Erin Burnett della CNN, si è tentati di pensare che il tipo di ebrei con cui Biden si identifica sono quelli che accettano stoicamente il proprio destino, credendo che ci sia sufficiente bontà tra la maggioranza della popolazione per alleviare la loro situazione.
Ma combattere? Cercare di distruggere nemici irrecuperabili prima che siano loro a distruggere noi? Quello, sembrerebbe, è un passo troppo lungo. Cosa avrebbe potuto dire Biden che non ha detto quel giorno? Quali aspetti dell’attuale ondata di antisemitismo avrebbero convinto una comunità ebraica assediata, che il leader del mondo libero non è solo un alleato, ma qualcuno che comprende fino in fondo la natura delle minacce contemporanee che vengono portate su più fronti? C’era una sorta di indizio nel mezzo del suo discorso, quando Biden si riferiva all’“antico desiderio di spazzare via il popolo ebraico dalla faccia della terra”. Questa era l’osservazione che necessitava di essere ampliata, perché arriva al nocciolo della questione. Perché mentre la spinta fondamentale (dell’antisemitismo) non è cambiata nel corso dei secoli, la differenza oggi sta nei portatori di questo messaggio. Sacche di antisemitismo rimangono nell’estrema destra e tra alcuni cristiani, ma il problema può essere controllato.
La minaccia esistenziale ora proviene dall’alleanza rosso-verde degli islamisti e dell’estrema sinistra: questo era ciò che Biden avrebbe dovuto evidenziare. Ma non lo ha fatto. Per questa coalizione, l’esistenza di uno Stato ebraico è il veicolo attraverso il quale si manifesta “l’antico desiderio” descritto da Biden. Quindi la presentazione è diversa. Mentre un tempo gli ebrei venivano descritti come ostacoli alla redenzione spirituale – un popolo maledetto la cui esistenza, come notoriamente sosteneva Sant’Agostino, è un esempio di ciò che accade quando Cristo viene rifiutato – nel nostro mondo secolare contemporaneo, gli ebrei sono ostacoli alla realizzazione della giustizia nazionale e sociale, obiettivi universalisti che sono stati fatalmente compromessi dal particolarismo ebraico. Ancora una volta, gli ebrei disprezzano sia il messaggero che il messaggio, quindi ancora una volta devono soffrire per questo. Negli accampamenti pro-Hamas che sono sorti nei campus universitari degli Stati Uniti, così come in Europa e Australia, si sono sentite antiche grida di “Morte agli ebrei” e altri epiteti, ma queste sono state oscurate da slogan ritenuti progressisti e illuminati: “Palestina libera”, “Dal fiume al mare”, “Globalizzare l’Intifada” e così via. Gli obiettivi immediati non sono le comunità ebraiche in gran parte indifese, ma gli abitanti di uno Stato-nazione armato fino ai denti. Gli ebrei fuori dal territorio di Israele che denunciano lo Stato ebraico sono, comunque, per il momento, alleati benvenuti, ma il resto – il 90%, più o meno, degli ebrei del mondo – è inaccettabile finché sostiene lo Stato di Israele. Ciò che Hamas e i suoi alleati occidentali ci chiedono di sostenere è – secondo la memorabile frase della conferenza di Teheran del 2006 organizzata dal regime iraniano – la visione di un “Mondo senza sionismo”. “Chiunque riconosca Israele brucerà nel fuoco della furia della nazione islamica, qualunque leader islamico che riconosca il regime sionista comunica che sta riconoscendo la resa e la sconfitta del mondo islamico”, dichiarò l’allora presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad. Per i nemici degli ebrei, quindi, si tratta di un gioco a somma zero: o noi o loro. E quell’idea è stata ora globalizzata, come risulta dal trasferimento degli slogan del regime iraniano nei nostri campus e, sempre più, nelle strade delle nostre città, nei nostri luoghi di lavoro e in tutti gli altri luoghi in cui ci riuniamo per andare avanti con le nostre vite. Questa è la sfida che Biden avrebbe dovuto affrontare.
Ben Cohen, scrive su Jewish News Syndacate