Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/05/2024, a pag. 11, l'analisi di Brice Couturier del settimanale Le Point dal titolo "Polizia di pensiero, odio di Israele. Se le università non fanno più sognare"
Oltre a manifestare contro Israele in nome della ‘giustizia intersezionale’, cosa si impara di utile nelle università d’élite americane?” si chiede Brice Couturier. “I piacevoli anni che si trascorrono in questi atenei giustificano la selezione spietata che viene praticata per accedervi? Le relazioni che si creano al loro interno valgono la retta universitaria richiesta? Prendiamo la Columbia, epicentro della lotta contro la guerra di Israele a Gaza e ottava università al mondo nella classifica di Shanghai: 56.000 dollari all’anno, ossia 224.000 dollari (209.000 euro) per un bachelor, che dà diritto a proseguire con un master (contate uno o tre anni supplementari). “Stiamo assistendo a una transizione. Siamo passati da ‘l’università è un bene per tutti’ a ‘è inutile e spesso non serve a nulla’”, scrive l’antropologo Peter Wood. Quest’ultimo sottolinea che un primo calo delle iscrizioni all’università si è verificato sulla scia dell’epidemia di Covid. Tra il 2019 e il 2020, la percentuale di studenti che hanno completato l’istruzione secondaria e sono passati all’università è scesa dal 66 per cento al 62,7. E il declino continua: 3 per cento di candidati in meno ad Harvard quest’anno, ad esempio. I giovani americani tendono a scegliere formazioni professionali brevi e biennali. Molti di loro rinunciano alle prestigiose istituzioni della Ivy League a favore di college più piccoli e meno politicizzati negli stati del sud. Secondo Eric Spitznagel di The Free Press, “uno dei fattori che li spinge ad abbandonare le istituzioni d’élite è il predominio del pensiero di sinistra, che secondo molti esaspera le tensioni culturali piuttosto che promuovere un utile dibattito”. “Le università dovranno accettare un ruolo molto meno importante nei nostri sistemi economici e sociali. Rischiano di diventare reliquie culturali”, sostiene Peter Wood. L’antisemitismo, che fiorisce ora nei campus più esclusivi in nome della “lotta al sionismo”, non migliorerà l’immagine di questi fiori all’occhiello dell’eccellenza americana. “Le nostre grandi università stanno perdendo la fiducia del pubblico”, avverte Robert George, professore di scienze politiche a Princeton. Ciò è dovuto in particolare all’ampliamento del divario ideologico negli ultimi anni tra gli “accademici” e il resto del paese. La percentuale di insegnanti che si definiscono “di sinistra” (liberal) ha continuato a crescere a scapito di quelli che si proclamano “moderati”. Non ci sono quasi più veri “conservatori” nei dipartimenti di scienze umane e sociali, che sono stati conquistati dai cultural studies. Vi si insegna soprattutto a coltivare la propria identità etnica, razziale o sessuale (“di genere”) e a usarla come vettore di azione politica. Vi si insegna che il razzismo negli Stati Uniti è “istituzionale”. E che i palestinesi sono “oppressi” e gli ebrei israeliani “oppressori”. “Siamo antisionisti, non antisemiti”, protestano gli “accampati” della Columbia University di New York, che hanno appena sfondato le finestre della Hamilton Hall per occupare l’edificio. Il Columbia University Apartheid Divest (Cuad) si guarda bene dall’attaccare gli ebrei americani in quanto tali. Ciò che chiede è la rottura di tutti i legami tra l’università e Israele, compresi gli scambi accademici. Ma cercare di andare a lezione davanti a militanti che gridano “Intifada, Rivoluzione!” potrebbe scoraggiare alcuni studenti ebrei... Questi attivisti applicano alla società israeliana gli schemi intellettuali nati dalla lotta contro l’apartheid in Sudafrica negli anni Ottanta. Raramente sanno che il 15 per cento degli studenti dell’Università di Tel Aviv sono arabi. Ma possono ignorare che lo slogan “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” implica la distruzione dello stato ebraico? Il Cuad chiede ai dirigenti della Columbia di condannare come “genocida” la guerra condotta da Israele a Gaza in risposta al pogrom del 7 ottobre e volta a porre fine ai razzi e ai missili lanciati da Hamas contro il suo territorio. Quando due ex studenti di questa università, Isidore Karten e Tomer Brenner, si sono avventurati nel campo, portando una bandiera israeliana e foto di civili israeliani rapiti da Hamas, uno dei leader del movimento, Khymani James, è stato filmato mentre dichiarava: “I sionisti non meritano di vivere. Potete ringraziarmi per non essere andato a uccidere questi sionisti”.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@ilfoglio.it