All’ONU, il crimine paga
Commento di David Elber
Venerdì 10 maggio, all’Assemblea Generale dell’ONU, si è consumato l’ennesimo abominio anti israeliano di un’organizzazione fallita sia moralmente che giuridicamente.
Con schiacciante maggioranza (143 si contro 9 no mentre l’Italia si è astenuta) l’Assemblea Generale ha approvato una risoluzione che, contro ogni regola legale, oltre che morale, garantisce all’inesistente “Stato” di Palestina uno status di membro con la possibilità di partecipare al funzionamento dell’organizzazione mondiale, nonostante, non abbia il pieno titolo per farlo (manca l’assenso del Consiglio di Sicurezza). Questo, cosa significa in concreto? Significa che il fantomatico “Stato di Palestina” non può votare all’Assemblea Generale ma può proporre risoluzioni, partecipare a commissioni e venire eletto nelle varie sue agenzie, ecc. In pratica può godere di uno status che non è neanche previsto nello Statuto dell’ONU, perciò totalmente illegale, ma che è stato inventato dalla politica degli Stati che odiano Israele e ne vogliono la distruzione. Questo nonostante l’ONU non sia deputata a creare gli Stati dal nulla ma a garantire, solamente, la pace tra di essi: esattamente l’opposto di quanto approvato ieri.
Nel testo della risoluzione approvata, si cita l’articolo 4 dello Statuto per compiere questa manovra politica, pur mancando completamente i requisiti minimi previsti dall’articolo stesso: cioè si annulla completamente il diritto internazionale per mera convenienza politica. Questo è un precedente che potrebbe minare completamente le relazioni tra gli Stati – quelli veri – in quanto il diritto non è più la base oggettiva e concreta che produce le fondamenta di queste relazioni internazionali. Da ora in avanti il diritto ha ceduto il passo alla politica.
La risoluzione approvata ieri ha creato qualcosa di aberrante: l’ingresso all’ONU di un fantomatico “Stato” che ha diritti ma non ha doveri. Per esempio non deve pagare la quota annuale prevista di contribuzione perché non ha diritto di voto (tanto non gli serve avendo l’appoggio incondizionato di tutti i paesi islamici) ma usufruisce del diritto di proporre risoluzioni, di far parte delle varie commissioni e agenzie, oltre che proporre dei propri candidati in esse. Questo cosa significa? Significa che tra qualche mese potremmo vedere un esponente di Hamas eletto in una commissione dei diritti umani o all’agenzia delle pari opportunità. Proprio così: mentre Israele e i suoi rappresentanti sono sempre esclusi, per volere dei paesi musulmani e dei loro alleati, da qualsiasi commissione, dal Consiglio di Sicurezza, dalla Corte di Giustizia Internazionale, dal Consiglio per i Diritti Umani o dall’UNESCO, si potrebbe invece assistere alla partecipazione di esponenti di Hamas ai forum decisionali dell’ONU. Tutto questo con il pieno assenso – tra gli altri – della Francia, della Spagna, del Belgio, della Danimarca, dell’Irlanda, del Portogallo, della Polonia, della Slovacchia, dell’Estonia, del Lussemburgo, della Grecia e della Slovenia, cioè metà della UE. L’Italia, assieme alla Gran Bretagna e a pochi paesi UE, si è astenuta. Tra i paesi UE hanno votato contro ci sono solo l’Ungheria e la Repubblica Ceca. Questa è la fotografia dell’Europa di oggi.
Cosa può fare Israele? All’ONU nulla, visto che politicamente è isolato e per di più è odiato dalla maggior parte dei paesi che costituiscono questa organizzazione priva di qualsiasi autorevolezza. È lecito domandarsi se abbia ancor senso per Israele rimanere nell’ONU e pagare tutti gli anni il proprio oneroso contributo, per poi vedersi privato dei suoi elementari diritti di rappresentanza nelle agenzie e commissioni, oltre che, vedersi condannato puntualmente ogni anno per crimini immaginari e fasulli. Ha senso?
Molto può fare, invece, Israele per proteggere i suoi cittadini in modo concreto: ritirarsi dagli Accordi di Oslo (mai rispettati dai palestinesi come il caso dell’ONU dimostra) e di conseguenza terminare il flusso di denaro che ogni anno fornisce all’Autorità Palestinese (circa il 65% dell’intero budget), chiudere le forniture dell’energia elettrica (che i palestinesi neanche pagano per morosità), non concedere i permessi di lavoro alle centinaia di migliaia di palestinesi che vanno a lavorare in Israele con stipendi e contributi pari agli israeliani. Infine assicurare alla giustizia tutti i mandati delle centinaia di attentati terroristici che vedono nei vertici dell’Autorità Palestinese i responsabili. L’esistenza di Israele, oggi, è messa davvero molto a rischio ma se non fa nulla per difendersi non può pretendere che siano gli altri a farlo al posto suo.
David Elber